Lo Zimbabwe ha finito i soldi
Il ministro delle Finanze ha detto che sono rimasti in cassa 217 dollari, l'economia continua a soffrire la diffusa corruzione e l'iperinflazione
Lo Zimbabwe ha pagato la scorsa settimana i salari dei funzionari governativi, ed è rimasto con soli 217 dollari nelle riserve statali. Il ministro delle Finanze del paese, Tendai Biti, ha fornito la cifra e ha detto che “le finanze del governo sono al momento in uno stato di paralisi”. Lo Zimbabwe non è nuovo a scenari di questo tipo: nell’arco di circa dieci anni è passato dall’avere una delle economie più solide dell’Africa all’essere conosciuto per la sua inflazione altissima, la diffusa corruzione e l’autoritarismo del suo presidente, Robert Mugabe, al potere da 32 anni prima come primo ministro e poi come presidente.
I guai economici dello Zimbabwe iniziarono ad aggravarsi all’inizio del decennio passato, quando Mugabe (che ha 88 anni) confiscò le aziende agricole del paese di proprietà dei cittadini bianchi. I risultati furono disastrosi: l’economia iniziò a sgretolarsi e l’iperinflazione rese il valore della moneta pressoché nullo. Seguì un drammatico aumento della disoccupazione, che spinse molti zimbabwani a protestare contro le politiche governative.
La politica economica fallimentare di Mugabe si aggiunse a problemi strutturali già presenti nella gestione delle risorse dello Zimbabwe. Nel corso degli anni il paese ha conosciuto livelli molto alti di corruzione soprattutto intorno ai settori dell’estrazione di oro, diamanti e platino. Secondo un report di questo gennaio di Transparency International Zimbabwe, sono state le miniere di diamanti quelle più colpite dalla corruzione: in particolare a causa della mancanza di una legge che ne governava l’estrazione. I contratti che permettevano l’estrazione di diamanti, infatti, vengono affidati a società che spesso risultano poi essere legate agli stessi funzionari governativi, che in questo modo si arricchiscono a spese dello Stato.
Lo Zimbabwe è stato anche al centro di una disputa con il Fondo Monetario Internazionale. Il Fondo nel 2003 sanzionò il paese per non avere pagato l’ingente debito pendente nei confronti del Poverty Reduction and Growth Facility (PRFG) – una delle agenzie dell’FMI che sostiene i paesi poveri – e sospese il suo diritto di voto nel consiglio dell’organo. Qualche anno più tardi divenne impossibile calcolare il tasso di inflazione del dollaro zimbabwano per la mancanza di beni di prima necessità e prodotti nei negozi e supermercati. Per questa ragione dal febbraio 2009, quando sempre più spesso la moneta locale veniva rifiutata per le transazioni a causa della sua forte svalutazione, nel paese fu permesso l’utilizzo anche di altre valute, come il dollaro statunitense e il rand sudafricano.
Nell’aprile 2012 l’ultimo report semestrale dell’FMI riportava che lo Zimbabwe aveva accumulato un debito di 132 milioni di dollari nei confronti del PRFG e di 1,5 miliardi con la Banca mondiale e la Banca africana di sviluppo. Nonostante la situazione economica del paese, alla fine dell’ottobre 2012 il Fondo Monetario Internazionale ha espresso la volontà di far ripartire la mediazione finanziaria con lo Zimbabwe dopo “avere comprovato la disponibilità del governo a ripagare in toto i debiti accumulati” e avere osservato le “incoraggianti riforme economiche che il governo ha attuato in questi anni”.
In realtà, al di là degli annunci verbali, non è chiaro come Mugabe possa traghettare il paese fuori da questa situazione. Alcuni personaggi politici del governo sono ancora sottoposti alle sanzioni dell’Unione Europea, adottate nel 2002 a causa di casi ripetuti di violazioni di diritti umani e violenza politica. L’UE ha affermato di volere sospendere le sanzioni solo quando lo Zimbabwe farà un referendum “credibile” per adottare una nuova Costituzione, attualmente previsto per la fine dell’anno.
nella foto: Robert Mugabe (Joseph Mwenda/AFP/GettyImages)