L’ONU contro le mutilazioni genitali femminili
L'Assemblea generale ha approvato una risoluzione che invita i paesi del mondo ad agire per fermare la pratica, che riguarda decine di milioni di donne
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato ieri una risoluzione che condanna le mutilazioni genitali femminili. Il provvedimento è arrivato dopo una lunga campagna da parte di alcune organizzazioni non governative e di agenzie della Nazioni Unite perché si condannasse apertamente la pratica, diffusa soprattutto in alcuni paesi africani. La risoluzione è stata adottata all’unanimità o più precisamente senza che si procedesse a una votazione formale, il meccanismo con cui vengono approvate le decisioni in cui si è raggiunto un ampio accordo tra i delegati. Tra due anni l’Assemblea esaminerà un rapporto in cui si saranno registrati i progressi nel campo.
La risoluzione era stata sottoscritta da due terzi dei paesi membri dell’Assemblea, tra cui il gruppo degli stati africani. Condanna la pratica delle mutilazioni genitali femminili e riconosce che è una violazione dei diritti umani, oltre a essere dannosa per la salute delle donne e delle ragazze: gli stati sono invitati a prendere provvedimenti perché la pratica sia interrotta e chi la porta avanti venga punito.
Non si tratta di un provvedimento vincolante, ma secondo i proponenti fornisce maggior forza per agire agli stati concretamente impegnati nella lotta alle mutilazioni genitali femminili. L’Unione Africana, l’organizzazione internazionale a cui partecipano quasi tutti i paesi del continente, ha già condannato ufficialmente la pratica.
Secondo Mariam Lamizana, presidente di un’organizzazione non governativa (l’IAC) che da anni porta avanti campagne di sensibilizzazione sul tema, 29 paesi africani si stanno occupando della questione e 19 hanno già adottato leggi sul tema. Uno dei più attivi è il Burkina Faso, che ha istituito un numero di telefono di emergenza e lavora insieme all’UNICEF per programmi di educazione e comunicazione. In Italia la campagna è stata portata avanti soprattutto dall’organizzazione non governativa Non c’è pace senza giustizia, parte dell’ONG internazionale No Peace Without Justice che è stata fondamentale anche per l’approvazione della risoluzione ONU.
Le mutilazioni genitali femminili sono tutte le pratiche in cui gli attributi genitali femminili esterni sono parzialmente o totalmente rimossi per motivi che non hanno nulla a che fare con la medicina: queste sono classificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in quattro tipi principali che comprendono, per esempio, l’infibulazione oppure la rimozione totale o parziale del clitoride.
Queste pratiche sono diffuse in una trentina di paesi africani ma anche in alcune zone dei paesi arabi e nel sudest asiatico. Circa 140 milioni di donne e ragazze, dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità, vivono con le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili, che oltre al danno fisico causano spesso grandi sofferenze psicologiche e sono “una forma estrema di discriminazione femminile”.
Nella maggior parte dei casi, le mutilazioni sono praticate da circoncisori tradizionali, spesso membri anziani della comunità, durante l’infanzia o comunque prima dei 15 anni. I motivi per cui vengono praticate sono principalmente culturali: le mutilazioni, dice l’OMS, sono considerate in alcune comunità passaggi necessari nell’educazione di una bambina, oltre ad un modo per prepararla all’età adulta e al matrimonio. Le mutilazioni sono spesso motivate da credenze sui comportamenti sessuali considerati corretti, che le mettono in collegamento con la verginità prematrimoniale e la fedeltà: in molti casi si crede che le mutilazioni limitino il desiderio sessuale delle donne o ne accrescano la “purezza” eliminando i tratti più esteriormente simili a quelli maschili.