Nostalgia del Subbuteo
Le pagine della nuova edizione illustrata di un libro che racconta tutto quello che c'è da sapere sul calcio da tavolo
È uscita per ISBN la versione deluxe del libro Subbuteo. Storia illustrata della nostalgia, di Daniel Tatarsky, cinque anni dopo la prima edizione del libro che celebra il leggendario gioco sul calcio che ebbe grandi successi soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Per chi è a Milano, domenica 16 dicembre 2012 la casa editrice festeggia la pubblicazione con una giornata dedicata al Subbuteo, a partire dalle 13 nel Foyer del Teatro Franco Parenti.
Daniel Tatarsky è nato e vive a Londra. Scrive e gioca a Subbuteo, nel frattempo si guadagna da vivere come attore di cinema, televisione e teatro. Il suo libro comincia così:
Quando ero bambino, non c’era da vergognarsi ad avere mal di schiena e ginocchia doloranti. Perché anche se ufficialmente il gioco si chiama Calcio da tavolo Subbuteo, conoscevo pochissima gente che ci giocava davvero sul tavolo. E di gente che ci giocava ne conoscevo parecchia. In Inghilterra era l’epoca post-trionfo mondiale e i giochi calcistici furoreggiavano. La nostra famiglia ne aveva uno scaffale pieno. Avevamo Soccerama, Wembley e il Calcio da tavolo Waddington. I primi due erano su tabellone, il terzo era il gioco delle pulci con le porte.
Tutti quelli che ci hanno giocato capiranno perché Waddington negli anni sessanta decise di rilevare la Subbuteo dai suoi produttori originari. Quando non potevamo giocare al calcio vero, la nostra prima scelta era sempre il Subbuteo. Il campo da Subbuteo veniva posato sul pavimento, su un bel pezzo di truciolato se eri per benino come i Cottam, qualche casa più in là, oppure direttamente sul tappeto. Avendo una moquette abrasiva come la carta vetrata, io e i miei fratelli usavamo degli speciali cuscini da Subbuteo per cercare di minimizzare il consumo delle ginocchia mentre strisciavamo intorno al campo.
Si disputavano perennemente campionati e coppe tra noi e i nostri amici. Divennero tanto popolari che a un certo punto dovemmo limitare il numero delle persone che venivano semplicemente a vederli. Si faceva accomodare la folla in eccesso in un’altra stanza, dove veniva trasmessa la radiocronaca della partita in corso attraverso i nostri nuovissimi telefoni giocattolo. Anche se erano solo una versione a batteria di due barattoli uniti da un filo, quei telefoni fornivano un commento in diretta tipo Radio 5, vent’anni prima che nascesse quello vero.
(Luca Sofri: Sono un aggiotatore, di Subbuteo)
Negli anni sessanta e settanta il calcio era la passione divorante di quasi tutti i ragazzini inglesi, e anche di qualche ragazza. In un’epoca anteriore alla televisione ventiquattr’ore su ventiquattro, quando c’erano solo tre canali tra cui scegliere e i videogame non erano che un sogno nella testa di Clive Sinclair, per un ragazzo il gioco più efficace era la sua immaginazione. E il più delle volte a ispirare l’immaginazione era il calcio. Questo spiega perché uno degli slogan immancabilmente legati al Subbuteo, «Il calcio in punta di dito», in un tempo piuttosto breve divenne un mantra fra i tifosi di calcio.
Dagli umili inizi nel 1947, a Tunbridge Wells, nel Kent, nella rimessa a casa di sua madre, Peter Adolph, il «padre del Subbuteo», riuscì a sviluppare il marchio al punto che, al suo apice, il Subbuteo era giocato in più di cinquanta paesi da più di dieci milioni di appassionati. Il tutto ottenuto con pochissima pubblicità, qualche testimonial occasionale (per esempio, Bobby Charlton che si presenta al campionato nazionale di Subbuteo) e molto passaparola. Con la sorprendente crescita del gioco, vennero le associazioni nazionali e internazionali dedicate al Subbuteo, e con esse le immancabili competizioni, culminate nella Coppa del mondo di Subbuteo del 1970, un torneo che da allora ha attirato giocatori da tutto il mondo.
A differenza dei Mondiali veri, la versione Subbuteo non aspetta quattro anni per essere disputata. Si tiene ogni anno, e si gioca sui tavoli. All’inizio del ventunesimo secolo il Subbuteo è ancora popolare. Ci sono migliaia di siti web dedicati alla glorificazione del signor Adolph e dei suoi omini di plastica, e in tutto il pianeta si tengono ancora campionati cinquant’anni dopo che Peter Adolph presentò al mondo quel suo gioco dal nome strano. Forse non sorprende che a organizzare e disputare questi tornei siano uomini adulti, ma segnali rivelano che una nuova generazione di bambini sta iniziando a interessarsi al gioco. Questo libro racconta come il Subbuteo sia giunto a diventare uno tra i più grandi e fortunati giochi calcistici. Racconta anche come i giochi calcistici siano cambiati dagli anni del dopoguerra, quando Peter Adolph, appassionato di ornitologia, usò il nome di uno dei suoi uccelli preferiti per battezzare un calcio da tavolo.