La crisi dei missili a Cuba
La storia dello scontro diplomatico iniziato il 14 ottobre 1962, quando Kennedy, Castro e Kruscev andarono vicini a usare la bomba atomica
di Davide Maria De Luca
Il 14 ottobre del 1962, un aereo spia americano U2 fotografò le prove che l’Unione Sovietica stava costruendo a Cuba delle basi per lanciare missili nucleari in grado di colpire gli Stati Uniti. Quel giorno cominciò la più grave crisi dall’inizio della guerra fredda: per tredici giorni l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti si fronteggiarono, arrivando più volte vicini alla guerra.
La crisi terminò il 28 ottobre, quando l’Unione Sovietica accettò pubblicamente di smantellare le basi a Cuba e gli Stati Uniti accettarono, in segreto, di smantellare i loro missili nucleari in Italia e Turchia. In seguito alla crisi venne creato il cosiddetto “Telefono rosso”, un sistema di comunicazione diretto tra la Casa Bianca a Washington e il Cremlino a Mosca. Grazie al Telefono rosso i leader di Stati Uniti e Unione Sovietica potevano comunicare rapidamente scongiurando nuove crisi.
Gli Stati Uniti, prima della crisi
La vittoria di Fidel Castro a Cuba, nel gennaio del 1959, e l’instaurazione nell’isola di un regime sempre più vicino all’Unione Sovietica vennero visti dagli Stati Uniti come un’ingerenza assolutamente inaccettabile nel loro “cortile di casa”. Poco prima che scoppiasse la crisi dei missili cubani, il presidente Kennedy aveva autorizzato un maldestro tentativo di ribaltare il regime di Castro.
Un gruppo di dissidenti cubani, armati e addestrati dalla CIA, avrebbe dovuto sbarcare a Cuba e iniziare una contro-rivoluzione. L’invasione fu lanciata nell’aprile del 1961, tre mesi dopo che Kennedy era diventato presidente. Lo sbarco avvenne nella Baia dei Porci, ma gli esuli cubani furono rapidamente sconfitti: in seguito a questo fallimento, fu lanciata l’operazione Mongoose, che doveva rovesciare il regime di Castro con una serie di attentati e sabotaggi che sarebbero dovuti culminare con una sollevazione di popolo. Anche questa operazione non produsse risultati.
L’Unione Sovietica prima della crisi
L’incidente della Baia dei Porci aveva lasciato ai leader sovietici l’impressione che Kennedy fosse un presidente debole e irresoluto. Gli esuli cubani erano stati appoggiati debolmente e mai apertamente dagli Stati Uniti. Invece della potenza aerea degli Stati Uniti, gli esuli potevano contare soltanto su un pugno di vecchi aerei pilotati da contractor della CIA.
Anche la crisi di Berlino del 1961, nata in seguito alla costruzione del muro che aveva diviso Berlino Est da Berlino ovest, aveva lasciato i russi con l’impressione che Kennedy non avesse la forza di contrastare fino in fondo un colpo di mano sovietico. Così a Nikita Kruscev, leader del Partito Comunista e presidente del consiglio dei ministri dell’Unione Sovietica, venne l’idea di impiantare missili nucleari a medio raggio sull’isola di Cuba.
Si trattava di un piano in grado di garantire all’Unione Sovietica numerosi vantaggi. Nel 1962 la Russia era dotata soltanto di 20 ICBM (Inter-continental Ballistic Missile, missili intercontinentali in grado di portare testate nucleari) per di più piuttosto imprecisi. Gli Stati Uniti invece potevano contare su una numerosa flotta di bombardieri B52 (quelli del film Il dottor Stranamore), in grado di colpire con armi nucleari gran parte del territorio sovietico con un’ottima precisione.
Installare missili a medio raggio a Cuba avrebbe consegnato all’Unione Sovietica un’arma in grado di colpire gli Stati Uniti con precisione e senza preavviso: i missili a medio raggio, infatti, avrebbero impiegato pochissimo a raggiungere le città americane, mentre quelli lanciati dal territorio sovietico avrebbero dato il tempo agli Stati Uniti di elaborare contromisure.
Kruscev pensava che questa capacità di colpire senza preavviso gli avrebbe permesso di occupare Berlino Ovest senza rischiare una rappresaglia nucleare. Riteneva infatti che Kennedy non avrebbe mai rischiato una guerra nucleare in cui sarebbe stato colpito prima ancora di colpire, solo per salvare Berlino. Ma anche senza arrivare alla guerra, Kruscev aveva pianificato di scambiare la smobilitazione delle sue basi a Cuba con la consegna di Berlino Ovest.
La crisi
Il 7 ottobre il rappresentante di Cuba alle Nazioni Unite dichiarò: «Per difenderci abbiamo acquisito l’arma che avremmo preferito non acquisire, l’arma che non intendiamo usare». La CIA pensò che a Cuba fossero state installate alcune piccole testate nucleari a corto raggio a scopo difensivo. Nei giorni precedenti alla dichiarazione, infatti, erano arrivati numerosi rapporti da Cuba, ma si trattava per la maggior parte di rapporti imprecisi o fantasiosi, redatti da dissidenti e spie non professioniste. Cinque di questi rapporti però furono presi più seriamente. Parlavano di camion che si muovevano di notte e trasportavano oggetti coperti di forma tubolare, tanto lunghi che i camion non potevano svoltare nelle città, ma erano costretti a fare retromarcia e a manovrare. Nessuna testata difensiva era così lunga.
Kennedy autorizzò la ripresa delle ricognizioni aeree su Cuba, che erano state interrotte circa un mese prima, quando un aereo spia U2 era stato abbattuto sopra la Cina. Il 14 ottobre un U2 sorvolò Cuba e scattò 928 foto di siti sospetti. La sera del 15 ottobre il centro di interpretazione fotografica della CIA comunicò al Dipartimento di Stato i risultati della sua analisi: i sovietici stavano costruendo una base per missili nucleari a medio raggio nella parte occidentale dell’isola di Cuba. La mattina dopo, il 16 ottobre, le fotografie vennero mostrate al presidente Kennedy.
La CIA aveva affermato che i sovietici non avrebbero mai impiantato missili nucleari a medio raggio sull’isola, quindi non c’erano piani pronti per essere adottati. Bisognava elaborare una linea d’azione partendo da zero. Le scelte andavano dalle pressioni diplomatiche, all’invasione in forze dell’isola, che poteva essere compiuta visto che i missili non sembravano ancora operativi. Ogni opzione aveva i suoi lati negativi: un attacco aereo sui siti missilistici oppure un’invasione avrebbero quasi certamente spinto i sovietici a occupare Berlino ovest, mentre la soluzione diplomatica avrebbe dato il tempo ai sovietici di ultimare le basi e rafforzare le difese.
La quarantena
L’opzione scelta fu il blocco navale, iniziato da navi americane e di altri paesi sudamericani alleati il 22 ottobre. Quel giorno Kennedy annunciò pubblicamente per la prima volta che erano stati scoperti missili nucleari a Cuba. Per effettuare il blocco si era dovuto aggirare un ostacolo legale: un blocco, infatti, per il diritto internazionale viene considerato un atto di guerra. Venne così scelto il nome di “quarantena”, che aveva lo scopo di impedire soltanto il transito di carichi di armi e altro materiale bellico. Per essere sicuri di agire secondo le regole internazionali, gli Stati Uniti ottennero anche l’assenso dell’Organizzazione degli Stati Americani e fecero partecipare alla quarantena anche alcune navi da guerra argentine.
Il momento più rischioso della crisi arrivò il 26 ottobre. Il giorno precedente 14 navi sovietiche che contenevano, presumibilmente, materiale militare, avevano ricevuto da Mosca l’ordine di invertire la rotta e di allontanarsi da Cuba. La mattina del 26 una nave da guerra americana rilevò un sottomarino sovietico in rotta per Cuba e sganciò alcune bombe di avvertimento. Gli americani non lo sapevano, ma il sottomarino era armato con 15 testate nucleari. Si trovava a corto di aria ed era circondato da navi da guerra americane. Il comandante ordinò che venissero armate le testate nucleari, ma il suo secondo, Vasili Arkhipov, lo convinse all’ultimo momento ad emergere, ma senza sparare. Il direttore dell’archivio di stato americano scrisse nel 2002, quando l’episodio fu rivelato al pubblico: «Un tizio di nome Vasili Arkhipov ha salvato il mondo».
Le trattative
Con l’istituzione della quarantena e il ritiro delle navi sovietiche, la crisi era giunta a uno stallo. Gli aerei spia riferivano che i lavori intorno alle basi missilistiche non si erano fermati e i sovietici non sembravano intenzionati a smantellare quanto avevano già costruito. Nel frattempo però tra Stati Uniti e Unione Sovietica si erano aperti canali di trattativa “informale”. Personaggi di basso rango diplomatico, giornalisti e spie suggerivano che da parte dell’Unione Sovietica ci fossero aperture a soluzioni per risolvere la crisi.
Una prima offerta di Kruscev sembrava chiedere, in cambio del ritiro dei missili, una semplice dichiarazione da parte degli Stati Uniti che non avrebbero invaso Cuba. Prima che Kennedy potesse rispondere, arrivò una seconda offerta, in cui si chiedeva lo smantellamento dei missili americani in Italia e in Turchia. La stessa offerta era stata suggerita pubblicamente dal giornalista Walter Lipamann. Trattare in quelle condizioni era reso particolarmente difficile dalla mancanza di chiari canali di comunicazione ufficiali tra Stati Uniti e Unione Sovietica, quindi bisognava basare le trattative sul lavoro di spie e diplomatici.
La fine della crisi
Il 27 ottobre la crisi era giunta al suo punto di massima tensione. Le trattattive procedevano lentamente, mentre Cuba restava sotto quarantena e l’esercito americano si mobilitava. Nelle varie basi sparse per il mondo, gli aerei da guerra americani erano stati caricati con testate nucleari e compivano voli di pattuglia sempre più vicini ai cieli dell’Unione Sovietica. Il 27 ottobre Kruscev ricevette quella che venne chiamata “la lettera dell’Armageddon”, un messaggio in cui Castro gli chiedeva di lanciare un attacco nucleare se l’isola fosse stata invasa, come era ormai sicuro che avvenisse.
Quella sera si giunse a un accordo. Gli Stati Uniti si impegnavano a rimuovere segretamente i loro missili nucleari da Turchia e Italia, mentre l’URSS avrebbe pubblicamente rimosso i suoi missili da Cuba e avrebbe accettato delle ispezioni ONU sull’isola. La mattina del 28 ottobre, Kruscev lesse un messaggio a Radio Mosca in cui annunciava lo smantellamento dei missili da Cuba. Nelle settimane seguenti, 42 missili nucleari a medio raggio furono imbarcati su otto cargo e rimandati in Unione Sovietica. Undici mesi dopo anche i missili americani in Italia e Turchia furono disattivati.
Che cosa successe dopo
La creazione del “Telefono rosso” fu una delle principali conseguenze della crisi di Cuba. Le trattative tra le due potenze erano state complicate anche a causa della difficoltà di comunicare tra Kennedy e Kruscev, visto che di ogni messaggio bisognava valutare l’affidabilità e decidere se era un’offerta vera e se proveniva da una controparte autorizzata a trattare.
Contrariamente a quanto si pensa, la crisi dei missili cubani non spostò le lancette del cosidetto “Orologio dell’apocalisse”, un orologio simbolico creato nel 1947 dall’Università di Chicago, in cui la mezzanotte rappresenta l’apocalisse causata da una guerra nucleare. Il bollettino che riporta i movimenti delle lancette esce con cadenza bimestrale, quindi non fu influenzato dalla crisi di Cuba, che durò soltanto 13 giorni. Per tutto il periodo della crisi l’orologio rimase fermo alle 11,48, sette minuti più lontano dalla mezzanotte di quanto non sia oggi.