In difesa del Barcellona
Una risposta all'articolo di Michele Dalai su IL, per spiegare cos'è davvero il calcio noioso
di Stefano Fanti – @SteveValis
C’è una frase, leggendo l’articolo contro il Barcellona di Michele Dalai su IL, che mi ha fatto saltare sulla sedia. “La risposta a tutte le ricerche e le domande, alla sete di correttezza politica che per alcuni (in genere quelli che non guardano le partite) è l’unico requisito necessario al tifo, è solo una. Il Barcellona”. L’articolo è indirizzato agli appassionati di calcio – quelli che possiamo definire, competenti, qualunque sia la loro visione – o alle fidanzate dei giocatori, che cambiano squadra e colore dei capelli in base all’indirizzo cromatico della maglietta del consorte? Perchè qui sta il succo del discorso, e per questo è interessante discuterne.
L’antipatia verso il Barcellona (che qui affettuosamente chiameremo Barça) e il suo mondo può essere condivisibile: la volontà del club è quella di creare un emblema totalizzante – giustamente Dalai cita il motto Més que un club – e non tutti vogliono farne parte, a maggior ragione se il tifo personale punta verso altri lidi. Ok. L’antipatia per il gioco del Barça, invece, ha radici ormai forti e diffuse ed andrebbe il prima possibile ridimensionata.
L’aggressività, l’agonismo e l’intensità, colonne del gioco, insieme all’organizzazione tattica, della squadra che a livello italiano presenta il miglior calcio (la Juventus) sono fondamentali nell’evoluzione moderna di questo sport, ed è sbagliato non riconoscerle nel Barcellona: è vero, vedere Iniesta fare un fallo è inusuale, ma il Barça è anche Puyol, Dani Alves e Mascherano, giocatori che badano al sodo e lo fanno con lampante agonismo, elemento che nel meccanismo della squadra si sposa all’eleganza di Xavi o al genio di Messi, creando l’amalgama che rappresenta al meglio l’indirizzo tattico: il gioco di squadra.
Il protagonismo non è contemplato, anzi, è il suo opposto a dominare, tanto è vero che nelle idee di Guardiola – quindi di Vilanova – la formazione da schierare in campo dovrebbe essere utopicamente formata da soli centrocampisti, che si muovono armonicamente avanti e indietro, che gestiscono la palla senza patemi, che corrono il giusto e bene, senza diventare viola di fatica ma occupando lo spazio al meglio e facendo muovere il pallone, che fatica non ne fa e che se è in possesso della tua squadra non permetterà mai agli altri di segnare. Si può chiamare melina, ma nella pratica è una semplice rete di passaggi, metodica e frustrante (di certo lo è per gli avversari), efficace e sublime non appena il ritmo prende un’inaspettata accelerazione e la palla, magicamente, passa in corridoi che sfidano le leggi fisiche (un esempio su tutti, il gol di Xavi contro il Milan nel girone di Champions League dello scorso anno). Alcuni lo definiscono gioco da fighette, altri una via diversa al pallone sparato in curva.
La noia non è di casa: il calcio noioso è quello dei cross dalla trequarti, quello dei velocisti che corrono dritto fino a che il campo non finisce, quello dei rilanci a caso appena pressati. Questo è noioso, perchè parliamo di professionisti e vogliamo vedere quello che noi non siamo in grado di fare, in alternativa possiamo filmare le nostre partite del sabato nel campionato amatori e farci quattro risate al sapore di tiri su un altro pianeta e contrasti al limite del codice penale.
Inoltre, premettendo la condivisa profonda antipatia per Sergio Busquets, giocatore sopravvalutato e oggettivamente disturbante, andare a ripescare la semifinale di Champions League contro l’Inter o gli episodi del match contro il Chelsea può diventare controproducente. Senza nulla togliere alla squadra di Mourinho, composta da undici assatanati che hanno meritato le vittorie conquistate, dobbiamo proprio ricordare come è arrivata alla finale della massima competizione continentale? Partendo dalle due sfide col Barça, passando per il Chelsea, per finire con il fuorigioco di Milito a Kiev. Meglio di no, allora lasciamo stare anche i cosiddetti favori ai blaugrana se no non se ne esce.
Amare il calcio casinista e degenerato nel divenire sport per palestrati che vanno a 300 all’ora, con gambe come tori e che a malapena sanno stoppare un pallone, è una scelta coraggiosa ma possibile, anche perchè il fatto che figure come Davids, De Rossi o Vidal, siano l’orgasmo definitivo per gli amanti del pallone – non solo bianconeri o giallorossi, e ovviamente questi tre non hanno nulla a che fare con l’esempio di energumeno sopra esemplificato – è un dato di fatto, ma l’esaltazione della fisicità supereroica deve essere filtrata da una capacità innata nel toccare il pallone, saper comprendere il gioco, e non “colpire in faccia gli spettatori delle prime venti file con una palla spazzata in tribuna”. Davids, De Rossi e Vidal hanno queste caratteristiche e sono veri e propri fenomeni. Il restante n% dei giocatori di temperamento è esattamente agli antipodi in quanto a tecnica, e a risentirne è il gioco.
Non è un caso infatti che in Champions League, massima espressione del calcio europeo, una squadra che parecchi analfabeti calcistici ritenevano piccola o scarsa – lo Shakhtar Donetsk di quel gran genio di Lucescu – abbia messo sotto la Juventus con il palleggio e la tecnica individuale, non con la fisicità e dintorni.
Col Barça, che talvolta può non essere divertente, soprattutto quando gioca contro barricate imbarazzanti, si annoia chi ama il pallone e non il calcio: poco male, c’è chi nell’NBA preferisce la furia di Griffin all’eleganza di Nash senza sbagliare, per questo è corretto esternare la propria visione, ma magari, provando a dare più valore ad un pallone filtrante che a un fallo da dietro.
– Chi ama il calcio odia il Barcellona?
foto: KAZUHIRO NOGI/AFP/Getty Images