Perché Sallusti rischia il carcere
Mercoledì si concluderà in Cassazione - dopo una pesante condanna di secondo grado - il processo per un articolo firmato da uno pseudonimo nel 2007 su Libero
Oggi, venerdì 28 settembre, la prima pagina del Giornale titola “Stanno per arrestare il direttore del Giornale”, in relazione ad una storia che in teoria potrebbe effettivamente portare in carcere il 55enne Alessandro Sallusti, direttore del Giornale del 2010, a causa di una condanna per diffamazione aggravata per un articolo del 2007, quando era direttore responsabile di Libero.
La storia è questa, come la racconta lo stesso Giornale: nel febbraio 2007 uscirono su Libero un articolo e un commento – firmato con uno pseudonimo – in cui si parlava indirettamente di un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo. L’articolo riguardava la storia di una ragazza di 13 anni che il tribunale di Torino aveva autorizzato ad abortire e che poi aveva avuto bisogno di un ricovero in una clinica psichiatrica per le conseguenze della vicenda, raccontata inizialmente dalla Stampa e ripresa poi il giorno successivo, con grandi polemiche, da alcuni quotidiani tra cui appunto Libero.
(Interventi e opinioni sul “caso Sallusti”)
L’articolo che riportava la cronaca della vicenda era firmato da Andrea Monticone. Nel commento, firmato con lo pseudonimo “Dreyfus”, si arrivava a dire, seppure come «esagerazione», che «se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice». Il giudice tutelare del caso, anche se non era stato nominato per nome, sporse querela, ritenendosi diffamato. Lo pseudonimo compariva da alcuni mesi sulle prime pagine di Libero e si riferisce al celebre scandalo che avvenne in Francia alla fine dell’Ottocento. Molti in quel periodo dicevano, ma le voci non sono mai state confermate, che dietro a “Dreyfus” ci fosse Renato Farina, ex vicedirettore di Libero che lasciò l’ordine dei giornalisti per i suoi documentati rapporti con i servizi segreti.
Ma dato che il commento non era firmato, per la legge il responsabile era il direttore del giornale, che allora (e fino al luglio del 2008) era Alessandro Sallusti. Come è la norma, non vennero fatte indagini per risalire al vero autore del commento, che dalle ricostruzioni apparse oggi è dato per scontato non essere l’allora direttore. In primo grado Sallusti venne condannato a risarcire circa 5mila euro al magistrato, ma questi presentò ricorso e si andò al processo di appello. Qui la pena è diventata pena carceraria, di 14 mesi. La condanna, per omesso controllo e diffamazione aggravata a mezzo stampa, è stata emessa dalla prima sezione della Corte d’Appello di Milano il 17 giugno scorso, ma a quanto pare il direttore del Giornale ne è venuto a conoscenza solo pochi giorni fa. Il cronista Andrea Monticone, che in primo grado era stato condannato a 4mila euro di ammenda, in secondo grado è stato condannato a un anno di carcere, sospeso con la condizionale.
Sallusti non ha diritto alla condizionale perché tutti i direttori di giornale, scrive oggi Vittorio Feltri, «sono pieni di cause, ne perdono molte, quindi accumulano precedenti su precedenti, e addio sospensione della pena». A rendere più intricata la vicenda e con risvolti tragicomici, sia in primo che in secondo grado «l’avvocato di fiducia» della società editoriale, ha raccontato oggi Vittorio Feltri, non ha difeso l’imputato per motivi che non sono chiari e che ora «non è rintracciabile». Sallusti è stato quindi difeso in secondo grado da un avvocato d’ufficio.
A quanto pare Sallusti non sapeva nulla del processo a suo carico, e mercoledì scorso gli è stato comunicato che mercoledì 26 settembre ci sarà l’ultimo grado di giudizio nel processo in cui è stato condannato a un anno e due mesi, quello della Cassazione: se questa non rileverà irregolarità formali nel processo di secondo grado, la pena diventerà esecutiva e Sallusti dovrà andare in carcere.
Vittorio Feltri, che pure in passato ha avuto spesso attriti con Sallusti, ha scritto oggi un articolo sdegnato in sua difesa sulla prima pagina del Giornale, attaccando la legislazione attuale, i politici che non l’hanno modificata e dicendo che «un giornalista in carcere per motivi professionali è la negazione della democrazia» e che «siamo uguali alla Corea del Nord». Feltri dice che l’Italia è l’unico paese «occidentale» in cui i reati che riguardano la stampa sono valutati dalla giustizia penale e non civile, prevedendo quindi anche pene carcerarie oltre che risarcimenti. Attacca poi tutti i governi – Berlusconi incluso – che non hanno modificato queste norme «fasciste».
– Filippo Facci, Il caso Sallusti
– Carlo Blengino, Sallusti e la tempesta perfetta
Foto: Roberto Monaldo / LaPresse
– Stefano Nazzi, Ciò che si scrive su un giornale