Le elezioni in Olanda
Si vota tra due settimane e a sorpresa i sondaggi danno favorito il candidato socialista, mentre la destra xenofoba ha perso consenso
In Olanda si vota il prossimo 12 settembre. Secondo le proiezioni di voto riportate in un articolo del settimanale britannico The Economist, Emile Roemer, il leader del Socialistische Partij (SP), il partito socialista, potrebbe riuscire ad ottenere 38 dei 150 seggi della Camera bassa. Nel frammentato panorama politico olandese, Roemer potrebbe essere il primo leader del SP nella storia del paese a formare un governo. Una situazione molto differente dalle ultime elezioni legislative del 2010, quando sotto i riflettori c’era Geert Wilders, il candidato del Partij voor de Vrijheid (PVV), una formazione di estrema destra, xenofoba ed euroscettica, che secondo i sondaggi non riuscirà a ottenere più di 15 seggi (nelle ultime elezioni, con 24 seggi, era il terzo partito olandese).
I sondaggi indicano un testa a testa tra SP e il Volkspartij voor Vrijheid en Democratie (VVD), il Partito popolare per la libertà e la democrazia, di centro destra, che nelle elezioni del 2010 ritornò ad essere il primo partito politico del paese. Il programma politico di Roemer, descritto come un uomo «eternamente sorridente», risponde ai timori degli elettori: promette di salvaguardare lo stato sociale, non è contro l’Unione europea e nemmeno contro l’euro, ma si oppone a ogni manovra finanziaria eccessivamente severa, soprattutto per quel che riguarda prestiti ai paesi europei in crisi.
Maurice de Hond, un esperto politico intervistato dall’Economist, ha detto di aver previsto da tempo che il SP avrebbe potuto avere un grande rilievo in queste elezioni: «Il partito di Roemer è diventato il centro della democrazia sociale. Si è opposto alla privatizzazione delle ferrovie e dell’energia e attaccando le banche come responsabili della crisi finanziarie. Gli elettori credono che la destra al governo abbia sbagliato, e visto che il partito socialista non è mai stato al potere, sono disposti a dargli una possibilità».
André Krouwel, un politologo dell’università di Amsterdam intervistato dal Financial Times, sostiene che le politiche anti-immigrazione che hanno reso popolare il partito di estrema destra di Wilders non interessino più agli elettori, che in questo momento sono concentrati sulla questione finanziaria. Wilders promette di trascinare l’Olanda fuori dall’Unione europea e abbandonare la moneta unica, ma dopo la crisi di governo dell’aprile scorso ha perso la fiducia dei suoi sostenitori. In molti, riporta il Financial Times, si chiedono perché abbia aspettato che la manovra di bilancio messa a punto dal passato governo fosse quasi completa per ritirarsi e definire i tagli “un diktat di Bruxelles”.
Sempre secondo i sondaggi, sembra infatti che un numero considerevole di elettori del partito socialista appena due anni fa abbia votato il partito di estrema destra di Wilders. Fu proprio il PVV a negare il suo appoggio all’approvazione di una manovra da 16 miliardi di euro, ritenuta fondamentale dal partito dell’ex premier Mark Rutte per rientrare nel limite del 3 per cento nel rapporto deficit/PIL, tetto fissato dall’Europa e fortemente voluto proprio dall’Olanda. In seguito alla crisi di governo che ne seguì, Rutte decise di presentare le dimissioni.
Foto:AP/Peter Dejong