Il referendum sugli stipendi dei parlamentari
Gira molto su Facebook la notizia di una raccolta firme per proporlo: chi lo promuove, che cosa chiede e perché l'iniziativa ha ricevuto molte critiche
Dall’inizio di luglio viene molto pubblicizzata su Facebook una raccolta firme per indire un referendum sugli stipendi dei parlamentari. L’iniziativa è stata presa dal piccolo partito Unione Popolare, e la campagna pubblicitaria invita ad andare a firmare presso il proprio comune. Spesso, all’invito ad aderire al referendum si accompagnano accuse ai mezzi di informazione e ai partiti di cercare di oscurare la campagna referendaria.
Chi promuove il referendum sullo stipendio dei parlamentari?
Un piccolo partito che si chiama Unione Popolare, la cui coordinatrice nazionale si chiama Maria di Prato: un account a suo nome risponde sulla pagina facebook del referendum e compare nei video promozionali. Secondo il suo curriculum Di Prato è un’imprenditrice nel settore agroalimentare. Ha iniziato la carriera politica negli anni Novanta, con la Democrazia Cristiana, e dal 2008 al 2010 è stata “Responsabile per il merito” dell’UdC. Nel 2010 ha lasciato l’UdC per fondare l’Unione Popolare, come racconta lei stessa in un video su YouTube. Di Prato aveva già promosso nel 2011 un referendum per abolire l’attuale legge elettorale, che fu poi bocciato dalla Corte costituzionale.
Come si organizza un referendum?
Il referendum è regolato dall’articolo 75 della Costituzione, mentre i dettagli su come deve essere attuato sono contenuti nella legge numero 325 del 1970. Per poter presentare un referendum abrogativo bisogna raccogliere in tre mesi 500 mila firme e depositarle alla corte di Cassazione. Dopo tre mesi da quando sono state raccolte, le firme non possono più essere utilizzate. Possono essere depositate solamente nel periodo dell’anno dal primo gennaio al 30 settembre. Non è possibile nemmeno depositare la richiesta di un referendum nell’anno precedente alla scadenza di una delle due Camere, e questo punto è importante per la proposta dell’Unione Popolare.
Ci sono anche dei limiti sulle materie in cui si può richiedere un referendum abrogativo. Non è possibile chiedere l’abrogazione di leggi tributarie, di bilancio, di amnistia, di indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Non possono essere abrogate neanche le norme costituzionali.
Che cosa vuole ottenere questo referendum?
L’abolizione della “diaria”, cioè l’articolo 2 della 1261 del 1965, la legge che regola i compensi dei parlamentari. La diaria ammonta a 3.500 euro di rimborso spese, che spettano ai parlamentari per vivere a Roma (ma lo incassa anche chi risulta già residente nella capitale). Di Prato ha spiegato in un’intervista a Linkiesta che hanno deciso di colpire la diaria perché è molto più facile da abolire rispetto agli stipendi. Un referendum per abolire completamente la legge del 1965 avrebbe corso il rischio di essere respinto dalla Corte costituzionale. Il fatto che i parlamentari debbano avere uno stipendio è stabilito dall’articolo 69 della Costituzione, che però rimanda a una legge attuativa.
(Quanto guadagnano i parlamentari italiani)
Abolire la legge attuativa tramite referendum creerebbe quindi un vuoto legislativo: i parlamentari non avrebbero più una norma che regola i loro stipendi. In altri casi simili, come per il referendum abrogativo della legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum”, la Corte costituzionale ha già sentenziato che il referendum non può generare un vuoto legislativo e quindi va respinto.
Quali sono i dubbi sul referendum?
Secondo la normativa che regola l’organizzazione dei referendum, le firme raccolte fino ad oggi sono quasi certamente non valide. Nel 2013 finirà l’attuale legislatura (cioè si andrà nuovamente alle elezioni) quindi nel corso dell’anno precedente, il 2012, non è possibile presentare una richiesta di referendum. Le firme sono valide solo per tre mesi, quindi tutte quelle raccolte finora (200 mila, secondo Di Prato) scadranno prima del gennaio 2013, il primo mese in cui sarà possibile depositarle in Cassazione. Queste critiche sono state fatte notare a Di Prato su una pagina Facebook.
In un post su Valigiablu, Andrea Zitelli ha raccontato la risposta dei promotori a queste osservazioni: quando a Di Prato è stato fatto notare che non è possibile presentare referendum nel 2012, lei ha risposto che il problema non esisteva, dato che la proposta referendaria era stata presentata il 19 aprile, cioè un anno prima delle future elezioni.
Proprio uno degli iscritti al gruppo, racconta Zitelli, ha fatto notare a Di Prato che con “deposito della proposta referendaria” la legge intende deposito delle firme, non soltanto la pubblicazione del quesito referendario sulla Gazzetta Ufficiale (che invece avviene prima della raccolta delle firme). Inoltre è un punto che è già stato chiarito il fatto che la legge non intende proibire la presentazione dei referendum nei 365 giorni precedenti lo scioglimento delle Camere, ma proprio nel corso di tutto l’anno solare precedente.
Il 10 luglio di Prato ha annunciato che avrebbe avuto un appuntamento in Cassazione il giorno successivo, per chiarire la questione. Zittelli racconta che dell’appuntamento non se n’è più saputo nulla, ma in compenso sulla pagina Facebook è stato pubblicato un video in cui Di Prato ribadisce che il referendum e le firme finora raccolte sono valide (la legge 375, che regola l’attuazione del referendum, secondo di Prato è incostituzionale), ma comunque, per sicurezza, il partito raccoglierà altre firme ad ottobre: queste saranno ancora valide a gennaio (cioè tre mesi dopo) quando sarà finalmente possibile depositare la richiesta di referendum. Intanto l’Unione Popolare continua a pubblicizzare sul suo sito la raccolta di firme. L’ultimo evento è stato venerdì sera a Roma, in piazza Santa Maria in Trastevere.
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