Che cos’è il ddl anticorruzione
E perché se ne parla, due anni dopo l'inizio del suo percorso parlamentare, facendo un po' di confusione coi numeri
Oggi le cronache parlamentari si sono occupate ampiamente della discussione, nelle commissioni parlamentari della Camera, sul disegno di legge per la lotta contro la corruzione, un provvedimento che ha una lunga storia parlamentare alle spalle.
Il Popolo della Libertà è stato accusato oggi, in particolare dall’Italia dei Valori, di fare ostruzionismo, ovvero di rallentare volontariamente i lavori della commissione: questo perché alcuni lunghi interventi dei membri del PdL delle commissioni che stanno esaminando il ddl avrebbero impedito che si arrivasse alla votazione degli emendamenti proposti dal governo. Il PdL si difende dicendo che ha semplicemente lavorato perché venissero ascoltate proposte di modifica che ritiene importanti. Per velocizzare i tempi e arrivare prima alla discussione in aula, diversi partiti hanno proposto di ritirare i propri emendamenti.
Di che cosa stiamo parlando
Il disegno di legge contro la corruzione si intitola formalmente “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” e ha una lunghissima storia parlamentare alle spalle: è stato infatti già discusso in commissione parlamentare al Senato a partire dal maggio 2010, poi in aula (dove è arrivato oltre un anno dopo) e approvato dal Senato, in prima lettura, il 15 giugno 2011.
Poi si è passati alla Camera: l’esame delle due commissioni della Camera competenti, quella per gli Affari costituzionali e quella per la Giustizia, prosegue dal luglio del 2011 con grandi lentezze (dal sito della Camera risulta che nel mese di marzo e in quello di aprile ci siano state solo due riunioni della commissione in cui si è discusso il ddl) e non si è ancora concluso.
Il governo Monti ha detto che la lotta alla corruzione è una delle sue priorità e il 23 dicembre il ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, ha nominato una commissione di studio composta da tre magistrati e tre professori universitari: il suo obiettivo è formulare proposte e indicare soluzioni per una maggiore trasparenza e la lotta alla corruzione negli uffici pubblici, ma anche la produzione di emendamenti al progetto di legge che si discute da circa due anni.
La commissione di studio ha prodotto una prima relazione di una quarantina di pagine il 30 gennaio 2012 e una breve serie di integrazioni il 23 marzo scorso.
Che cosa prevede il disegno di legge
Il disegno di legge approvato dal Senato era stato presentato da cinque ministri del precedente governo Berlusconi: Alfano, Maroni, Bossi, Calderoli e Brunetta. Prevede di assegnare molti poteri a un’apposita commissione, la “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”, che deve stendere piani e relazioni periodiche con provvedimenti per la lotta alla corruzione nelle amministrazioni pubbliche.
Il ddl prevede poi alcune linee-guida per la maggiore chiarezza e trasparenza dell’attività delle amministrazioni pubbliche, un inasprimento delle pene per i reati coinvolti, e incentivi e garanzie per i dipendenti pubblici che denuncino episodi di corruzione. La legge delega infine il governo, entro un anno dall’approvazione definitiva, ad approvare un decreto legislativo sull’incompatibilità tra le cariche di parlamentare e le condanne per reati di corruzione.
Non è ancora possibile dire con certezza come e quanto il provvedimento verrà modificato dopo l’esame in commissione e la discussione in aula. Oggi è stato anche votato e respinto un emendamento, presentato da Angela Napoli di Futuro e Libertà, che equiparava il reato di corruzione e quello di concussione.
«60 miliardi l’anno»
Il tema della lotta alla corruzione è tornato al centro del dibattito politico anche a causa di una recente stima della Corte dei Conti, secondo cui la corruzione costerebbe all’Italia 60 miliardi di euro l’anno (torneremo tra poco su questa cifra), e alla pubblicazione lo scorso dicembre dell’annuale Corruption Perception Index dell’associazione Transparency International, che si basa su interviste che chiedono a uomini d’affari qual è il grado di corruzione percepita e in cui l’Italia va sempre malissimo, con i risultati puntualmente ripresi e commentati dalla stampa italiana (nell’ultima classifica, come è stato ricordato più volte, l’Italia era al 69esimo posto, dietro il Ghana, ma il metodo di indagine non appare affidabilissimo).
La storia dei 60 miliardi, citatissima nel dibattito parlamentare di questi giorni, è in sé molto interessante e istruttiva. Diversi quotidiani hanno titolato, il giorno dopo l’intervento del presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012, il 16 febbraio scorso, che all’Italia “la corruzione costa 60 miliardi di euro”. In realtà, però, nel discorso pronunciato dal presidente la stima non compare.
La stima è invece contenuta nella relazione scritta presentata dalla Corte dei Conti per la stessa occasione, l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ma il passaggio preciso (a pagina 100) prende la stima, risalente al 2008, per dichiararla poco attendibile. Giampaolino dice infatti che la stima complessiva del costo della corruzione nell’Unione Europea, da parte di una commissione comunitaria, ammonta a 120 miliardi di euro. Pensare quindi che 60 miliardi di euro sia il costo della corruzione soltanto in Italia è “invero esagerato”.
Il risultato è che ogni anno lo Stato perde tra costi della corruzione ed evasione fiscale (spesso collegata alla prima) un’ingente quantità di denaro.
Se l’entità monetizzata della corruzione annuale in Italia è stata correttamente stimata in 60 miliardi di euro dal SAeT [Servizio Anticorruzione e Trasparenza] del Dipartimento della Funzione Pubblica (cfr. relazione 2008 Trasparency; relazione al Parlamento n. XXVII n. 6 in data 2 marzo 2009 del Ministro per la Pubblica Amministrazione), rispetto a quanto rilevato dalla Commissione EU l’Italia deterrebbe il 50% dell’intero giro economico della corruzione in Europa!
Il che appare invero esagerato per l’Italia, considerando che il restante 50% si spalmerebbe senza grandi problemi negli altri 26 Paesi dell’Unione Europea.