Il caso Chico Forti
I misteri e le contraddizioni della condanna all'ergastolo di un imprenditore italiano in Florida, che sono tornati a essere discussi e contestati nelle ultime settimane
Enrico Forti, soprannominato “Chico”, è un imprenditore e produttore cinematografico di Trento che, dopo un processo di ventiquattro giorni, il 15 giugno 2000 fu condannato all’ergastolo in Florida per l’omicidio di Anthony “Dale” Pike, il figlio di un uomo con cui Forti stava trattando la vendita di un albergo che si trova a Ibiza. Forti si era trasferito negli Stati Uniti negli anni Novanta per occuparsi di produzioni video e di mediazioni immobiliari. La sua vicenda giudiziaria è molto intricata e negli ultimi giorni se ne è parlato di nuovo soprattutto grazie a twitter e a un appello video di Fiorello, che ne chiede la liberazione.
Il 16 febbraio 1998, un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike, un australiano di 42 anni di Sydney, in un boschetto vicino a Miami: era stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca e denudato completamente. Pike era arrivato il giorno prima a Miami da Madrid e aveva incontrato Forti, che gli aveva dato un passaggio in automobile fino al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove lo aveva lasciato intorno alle 19. Pike sarebbe dovuto rimanere nella zona insieme con alcuni amici, in attesa che Forti e suo padre – rimasto a New York – finalizzassero gli accordi per l’acquisizione dell’albergo. Fu invece ucciso lì vicino in un intervallo di tempo tra le 20 e le 22 (come emerse dallo studio della scena del delitto e dalle analisi sul cadavere), quindi poco dopo l’incontro con Forti, che verso le 20 era comunque tornato nella zona dell’aeroporto di Fort Lauderdale di Miami.
Tre giorni dopo il ritrovamento del corpo di Dale Pike, Forti si recò al dipartimento di polizia per rispondere a una convocazione come persona informata dei fatti. Durante la prima convocazione Forti negò di aver incontrato Dale Pike poco prima che morisse. Stando alla versione raccontata da amici e conoscenti che hanno messo insieme un sito web per raccontare il suo caso, Forti disse di non aver incontrato Pike perché spaventato dalla notizia che anche il padre di Pike fosse stato ucciso. La notizia comunicata dalle autorità non era però vera, perché in realtà Tony Pike era vivo e sotto la protezione della polizia dopo la morte di Dale.
La sera del 20 febbraio Forti tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d’affari con il padre della vittima, ma senza l’assistenza di un legale. In quell’occasione, fu arrestato e sottoposto a un interrogatorio di 14 ore durante il quale ritrattò la sua prima versione, ammettendo di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio poco tempo prima che fosse ucciso.
Forti, dice sempre il sito che si occupa del suo caso, fu arrestato per frode, circonvenzione di incapace e concorso in omicidio. Dopo essere stato liberato su cauzione, nei venti mesi seguenti fu scagionato dagli otto capi d’accusa che riguardavano la frode. Tuttavia, l’elemento della frode fu utilizzato dall’accusa come movente nel processo per l’omicidio di Dale Pike. Il pubblico ministero ricostruì così il caso: Forti uccise Dale Pike perché temeva che questi potesse ostacolare l’acquisto dell’albergo dal “padre demente”, Tony Pike. Questa è la versione descritta allora dal Sydney Morning Herald, che sostenne che Dale fosse andato a Miami per recuperare il denaro “sottratto” al padre.
L’arringa finale dell’accusa al processo per il caso di omicidio fu pronunciata il 15 giugno del 2000, senza la possibilità per la difesa di replicare. I difensori avevano infatti consigliato a Forti di non testimoniare per non esporsi a domande pericolose sulla bugia che aveva detto riguardo all’aver visto Dale Pike il giorno della sua morte. Inoltre, durante il dibattimento non erano emerse prove concrete contro Forti. Questa scelta escluse però la possibilità per la difesa di avere l’ultima parola, lasciando totalmente il campo all’accusa che poté raccontare la propria ricostruzione alla giuria senza la possibilità di essere smentita.
Secondo il sito che racconta il caso Forti, proprio questa condizione fu determinante per la sua condanna, che avvenne lo stesso giorno dopo poche ore di riunione della giuria per emettere il verdetto. Il sito riporta anche le parole pronunciate dalla Corte nel dichiarare Forti colpevole:
La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale.
Per spiegare il modo di agire della procura di Miami nei confronti di Forti si è anche ipotizzato qualche legame con un’altra vicenda giudiziaria, quella del presunto suicidio di Andrew Cunanan, l’uomo accusato dell’assassinio di Gianni Versace. Forti aveva infatti realizzato “Il sorriso della Medusa“, un documentario per Rai Tre sul caso Versace in cui veniva messo in dubbio l’operato della polizia di Miami nella ricerca dell’effettivo assassino. È bene comunque ricordare che buona parte delle ricostruzioni, circolate fino a ora online su come andarono le cose, sono basate sulla versione fornita dal sito che chiede la liberazione di Chico Forti (che oggi ha 53 anni), molto documentato, mentre sono poco accessibili versioni dell’accusa più dettagliate di quelle citate.