Il “Fronte dell’Uomo Qualunque”
La storia del movimento a cui viene paragonato quello di Grillo: ebbe un grande e momentaneo successo e dette una nuova parola alla lingua italiana
Negli ultimi tempi, soprattutto dal giorno dopo le elezioni amministrative, sulla stampa e in tv sono stati fatti diversi paragoni tra il Movimento 5 Stelle e una vecchia formazione politica italiana, che come il Movimento 5 Stelle rifiutava di farsi chiamare partito e ottenne risultati significativi in tempi di crisi. Oggi Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera cerca di capire se i punti in comune tra i due progetti politici proseguono o finiscono qui. E a questo scopo è utile capire bene di che parliamo, quando parliamo di Guglielmo Giannini e del Fronte dell’Uomo Qualunque.
Guglielmo Giannini era un giornalista, commediografo e regista napoletano. Giannini era nato nel 1891 a Pozzuoli e aveva partecipato alla Prima guerra mondiale. Era arrivato a una certa notorietà con le sue molte opere teatrali, di solito di argomento giallo o poliziesco, pubblicate nel corso degli anni Trenta, e nei primi anni Quaranta fu anche il regista di alcuni film, spesso con lo stesso soggetto delle sue opere teatrali. Nel 1942 aveva perso un figlio ventunenne in guerra.
(“Il primo qualunquemente”, raccontato da Filippo Ceccarelli)
Giannini era sempre stato molto interessato alla politica, anche se con posizioni a volte poco ortodosse per l’Italia fascista. Alla fine del 1944, il giornalista iniziò a pubblicare un nuovo settimanale, di nome “L’Uomo Qualunque”, che sotto la testata aveva lo slogan “Abbasso tutti!”. Il simbolo era un torchio che schiacciava una piccola figura umana disegnata vicino alla U del titolo. Quasi tutti gli articoli della rivista erano scritti da Giannini, che nel primo numero pubblicò un celebre editoriale che dava la linea del progetto:
Io sono quello che vedendo vilipendere i decorati al valore dissi che era una porcheria.
Io sono quello che quando assassinarono Matteotti dissi: – Questa è un’infamia.
Io sono quello che quando vidi la speculazione sull’assassinio di Matteotti dissi: – Adesso si esagera.
Io sono quello che quando Mussolini fece il discorso di Pesaro dissi: – Ma perché si occupa di finanze se non ne capisce?
Io sono quello che quando fu fatto il Concordato con il Vaticano dissi: – Bè, meno male, ci siamo levata questa spina dal cuore.
Io sono quello che, quando fu proclamato l’impero, dissi: – Bè, meno male, è finita e possiamo metterci a lavorare.
Io sono quello che, quando cominciò la guerra in Spagna, dissi: – Oh! Dio Santo!
Io sono quello che quando Galeazzo Ciano fece il discorso sulle naturali aspirazioni contro la Francia, dissi: – Ma insomma, la finiamo o non la finiamo?
Io sono quello che al 18 giugno del 1940, convinto di avere dodici milioni di baionette, la flotta sottomarina più potente del mondo, l’aviazione capace di oscurare il sole, dissi: – Bè, ormai ci siamo, sbrighiamoci, sistemiamo il mondo e mettiamoci a lavorare.
Io sono quello che, pochi giorni dopo, quando la battaglia delle Alpi dimostrò che non avevamo nemmeno le scarpe da montagna per i soldati, dissi: – Ma cosa fa il re?
Io sono quello che quando cominciò la guerra contro la Grecia, dissi: – Oh! Madonna mia!
Io sono quello che da quel momento continuai a dire: – Ma cosa fa il re? Ma come Badoglio ha permesso questo? Ma che fanno i principi, i collari dell’Annunziata, il Senato?
Io sono quello che la notte del 4 giugno 1944 [il giorno della liberazione di Roma da parte degli Alleati, NdR], uscii di casa, infischiandomene del coprifuoco, impazzendo di entusiasmo.
Io sono quello che un mese dopo dissi. – Qui non si fa che perder tempo e l’inverno si avvicina.
Io sono quello che incontrando l’ex gerarca, dissi: – Come, lei fa l’epuratore?
Io sono quello che ha detto. – Questi sono metodi e sistemi fascisti.
Io sono quello che ha venduto tutto per comprare il poco che ha potuto.
Io sono quello che non crede più a niente e a nessuno.
Io sono l’Uomo Qualunque.
Poco dopo la fine della guerra in Europa, spinto dal successo del settimanale, Giannini fondò anche un movimento politico. Nell’agosto del 1945 pubblicò sull’Uomo qualunque un invito a mandare al suo “Ufficio politico” di Roma una serie di proposte su qualsiasi cosa, dalla scelta tra monarchia e repubblica allo stesso nome del movimento. L’articolo era intitolato “Basta con i partiti! Riprendiamoci il Paese!” e chiariva la massima distanza, nelle intenzioni, dal modo tradizionale di fare politica in Italia. Nel novembre dello stesso anno venne fondato il Fronte dell’Uomo qualunque.
L’Uomo qualunque, nel suo momento di massima diffusione, superò le 800.000 copie. Alle elezioni del 2 giugno 1946, quando vennero scelti i membri dell’Assemblea costituente, il Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque (questo era il nome ufficiale del movimento, che testimoniava anche la vicinanza ideologica del fondatore al Partito Liberale) prese 1,2 milioni di voti, il 5,3 per cento del totale. Il Fronte dell’uomo qualunque fu il quinto partito di quelle elezioni, elesse 30 membri dell’Assemblea Costituente e vide il suo fondatore Giannini raccogliere il terzo numero assoluto di preferenze personali, dopo De Gasperi e Togliatti.
Il messaggio di Giannini, che univa la disillusione – non il rifiuto – per il fascismo all’estraneità nei confronti della classe politica, faceva presa soprattutto nella piccola borghesia dell’Italia meridionale, che non aveva vissuto molto intensamente la lotta antifascista e partigiana e che si trovava stanca e sfiduciata nei confronti del futuro.
Il linguaggio dell’Uomo Qualunque era molto forte e a tratti volgare, fedele all’idea di stare “dalla parte del popolo” e di parlare come lui. I nomignoli denigratori erano frequentissimi: era normale vedere chiamato il PCI “Partito Concimista Italiano”, Ferruccio Parri “Fessuccio Parri” e Pietro Calamandrei “Pietro Caccamandrei”. La rivista conteneva anche molti retroscena e pettegolezzi sulle celebrità politiche e intellettuali italiane, nella seguita rubrica “Le vespe”. Anche se l’impostazione del giornale e le convinzioni di Giannini erano apertamente anticomuniste, la rivista non risparmiava ironie e prese in giro alla Democrazia cristiana (“demofradici cristiani”) o al CLN (“Comitato Lavativo Nequitoso”).
Le confuse posizioni politiche e teoriche di Giannini vennero esposte nel lungo saggio La Folla, scritto tra il settembre del 1943 e il giugno del 1944 e pubblicato proprio nel 1946, approfittando della popolarità di Giannini e del suo movimento. Il libro ebbe un grandissimo successo.
Alle amministrative del novembre 1946 il Fronte di Giannini andò ancora meglio rispetto alle elezioni dell’Assemblea Costituente. A Roma superò la Democrazia Cristiana di circa seimila voti. Quando la Democrazia Cristiana, nei mesi successivi, ottenne l’aperto appoggio degli Stati Uniti e poté prendere le distanze apertamente dal Partito Comunista, quasi tutti i voti che erano andati al Fronte dell’Uomo qualunque tornarono rapidamente alla DC, mentre l’incapacità del movimento di darsi un programma chiaro e di uscire da generici proclami contro i politici distrusse rapidamente tutto il suo consenso popolare.
Nel novembre 1947, in difficoltà economiche, Giannini dovette chiudere il quotidiano del movimento, Il Buonsenso. Per i mesi successivi cercò di rimanere a galla accettando in modo disinvolto l’appoggio di gruppi monarchici o nostalgici del fascismo. Ma le sue posizioni politiche poco chiare non gli impedivano di cercare alleanze (con pochissimo successo) anche a sinistra o con il Partito Liberale, mentre litigava con la DC presentandosi in modo piuttosto improbabile come il vero difensore dei valori cattolici.
Con le elezioni del 18 giugno 1948 il movimento sparì, senza presentarsi neppure alle elezioni. Giannini morì il 13 ottobre 1960, il giorno prima del suo sessantanovesimo compleanno. Lo stesso anno il settimanale interruppe le pubblicazioni. L’esperienza dell’Uomo Qualunque ha dato alla lingua italiana anche una parola, “qualunquismo”, e i suoi derivati.
foto: Silvio Durante/LaPresse