Guida alle elezioni in Russia
Si vota il 4 marzo, tra candidati improbabili e irregolarità probabili: l'unica cosa certa è il vincitore, ma l'importante è quello che succederà dopo
Domenica 4 marzo si terranno le elezioni presidenziali in Russia. La Russia è una repubblica federale semipresidenziale: secondo la Costituzione approvata nel 1993, il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e nomina il primo ministro, che deve ricevere l’approvazione del parlamento. Il primo ministro è a capo del potere esecutivo, ma anche il presidente mantiene ampi poteri e indirizza l’azione di governo. A partire dal mandato che inizierà nel 2012, la durata della carica è stata estesa da quattro a sei anni. Il presidente non può restare in carica per più di due mandati consecutivi, ma non c’è un limite al numero di mandati presidenziali complessivi della stessa persona.
Un vincitore annunciato, ma non tranquillissimo
Le elezioni hanno già un vincitore ampiamente previsto: i sondaggi danno Vladimir Putin, attuale primo ministro e già due volte presidente, capo del partito Russia Unita, intorno al 50 per cento dei voti, con circa 40 punti percentuali di vantaggio sul candidato a lui più vicino. Putin potrebbe però non raggiungere la maggioranza assoluta al primo turno e dover ricorrere al ballottaggio.
Alle elezioni parlamentari dello scorso dicembre l’affluenza è stata molto bassa (circa il 60 per cento) e Russia Unita, il partito di Putin e dell’attuale presidente Medvedev, ha ottenuto di poco la maggioranza assoluta. Nei giorni successivi l’OSCE ha dichiarato che nel conteggio dei voti ci sono state pesanti e evidenti irregolarità: nelle principali città russe, decine di migliaia di persone hanno partecipato a manifestazioni di protesta che sono proseguite per alcune settimane, un evento inatteso e quasi sconosciuto nella Russia degli ultimi quindici anni. Secondo la gran parte degli osservatori e degli analisti, sarà importante vedere soprattutto quello che accadrà dopo il voto, il cui esito è scontato. Bisognerà vedere se ci saranno proteste e con quali intensità, se il sistema di potere della Russia di Putin reagirà con delle concessioni o irrigidendosi, come si comporterà la comunità internazionale.
I candidati
Vladimir Putin è il padrone della politica russa dal 2000 e ha annunciato la sua candidatura, ampiamente prevista, al congresso di Russia Unita del settembre 2011. Già eletto nel 2000 e nel 2004, alle elezioni del 2008 non ha potuto ripresentarsi e ha appoggiato invece Dmitrij Medvedev, 46 anni, candidato a lui vicinissimo – nonostante sporadiche notizie di divergenze negli ultimi anni – e attuale presidente. I toni della campagna elettorale di Putin sono molto decisi, in linea con la sua personalità e il suo modo sprezzante di trattare gli avversari politici. Nell’articolo sul futuro del settore militare russo ripreso ieri da Foreign Policy, Putin ha scritto dei progetti per il riarmo del futuro con toni perentori, che danno per scontata la sua permanenza ai vertici della Russia.
Oltre a Putin, i candidati nelle prossime elezioni sono quattro, tutti esponenti di partiti da tempo presenti nella politica russa o candidati di scarso credito, fortemente sospettati di essere finti sfidanti mandati avanti dalla stessa Russia Unita. Una decina di candidature sono state respinte nelle ultime settimane dalla commissione elettorale russa, la maggior parte per irregolarità nella presentazione delle firme a sostegno della candidatura (la legge richiede che le firme da presentare siano due milioni): tra questi, lo scrittore Eduard Limonov e il leader del partito di opposizione liberale e filo-occidentale Yabloko, Grigorij Javlinkskij, 59 anni, già candidato nel 1996 e nel 2000. Il suo partito, dopo aver portato alcune decine di parlamentari al parlamento russo (la Duma) negli anni Novanta, non è più rappresentato in parlamento dalle elezioni del 2007.
Sergei Mironov
Mironov, 59 anni, è il fondatore del partito Russia Giusta. Ha un lungo passato da sostenitore di Vladimir Putin, ed è stato il presidente della camera alta del parlamento russo dal 2001 al 2011. Ha già partecipato alle elezioni presidenziali come candidato, e nelle ultime elezioni legislative ha ottenuto un buon risultato (oltre 60 deputati) sostenendo almeno a parole gli oppositori di Putin e Medvedev.
Mikhail Prokhorov
Prokhorov, 46 anni, è un ricchissimo oligarca con attività nel settore minerario e uno degli uomini più ricchi del mondo. È anche proprietario della squadra di basket dei New Jersey Nets. Dopo essere stato eliminato dai vertici del partito Giusta Causa per aver tenuto alcuni discorsi insolitamente duri nei confronti di Medvedev e Putin, che avevano permesso la fondazione del partito per dare parzialmente sfogo allo scontento di stampo più liberale, ha deciso di presentarsi come candidato indipendente.
Vladimir Zhirinovskij
Zhirinovskij, 65 anni e attuale vicepresidente del parlamento russo, è il leader del partito Liberal Democratico ed è un candidato di nessuna credibilità, nonostante sia candidato per la quinta volta alla carica presidenziale. È famoso per le sue frasi razziste, per sputare addosso e minacciare i suoi opponenti politici (con cui cerca regolarmente di venire alle mani) e per le sue proposte politiche assurde, come la vodka gratuita o pretendere indietro l’Alaska dagli Stati Uniti. Le descrizioni più generose nei suoi confronti ne parlano come di “un pagliaccio”. Il suo partito è stato fondato con il supporto del Cremlino e dei servizi segreti russi alla fine dell’era sovietica, quando è stato per alcuni anni l’unico altro partito ammesso alle elezioni oltre al Partito Comunista. Lo slogan per la sua campagna elettorale è “Arrenditi”.
Gennadij Zjuganov
Capo del nostalgico Partito Comunista russo – gli unici oppositori da sempre “tollerati” da Putin, in quanto considerati inoffensivi – ha 67 anni e ha fatto parte del partito comunista sovietico per venticinque. Si è già candidato diverse volte a presidente a partire dagli anni Novanta. Nei suoi discorsi politici mescola nazionalismo e desiderio di tornare all’URSS di Stalin, suo dichiarato punto di riferimento politico: i critici parlano della sua retorica come di discorsi “fascistoidi”, anche se il partito comunista è stato in grado in passato, per alcuni anni, di rappresentare un’opposizione seria alle oligarchie postsovietiche. Da alcuni anni il partito e il suo leader Zjuganov sembrano però aver abbandonato quel ruolo e hanno rinunciato, per incapacità o per parziale connivenza (come dimostrerebbero le votazioni parlamentari degli ultimi anni, che nei momenti cruciali hanno visto votare insieme Russia Unita e il Partito Comunista), a costituire una minaccia vera per Putin.
I dubbi sul voto
L’assenza di candidati credibili alternativi a Vladimir Putin e la mancata ammissione di diverse candidature contribuisce a rendere scontata la rielezione dell’attuale primo ministro, ma la fine della robusta crescita economica della Russia ha fatto aumentare lo scontento nei confronti dell’oligarchia che controlla il paese. Russia Unita, comunque, è ancora ampiamente in grado di controllare l’esito del voto, sia direttamente, attraverso la manipolazione dei risultati elettorali, sia attraverso l’ampio sistema di potere a livello economico e dei governi locali che lo sostiene. Nella piccola repubblica cecena, ad esempio, alle elezioni parlamentari dello scorso dicembre il partito di Putin ha ottenuto il 99,48 per cento dei voti, ma Ramzan Kadyrov, che è il padrone dello stato di circa 1,3 milioni di abitanti, ha promesso che per le elezioni presidenziali i risultati a favore di Putin (di cui è grandissimo sostenitore e a cui deve tutto il suo potere) saranno ancora migliori.
foto: OLGA MALTSEVA/AFP/Getty Images