Il mondo senza la Pan Am
La storia e le foto di una compagnia aerea leggendaria, fallita esattamente 20 anni fa
di Antonio Dini
La serie televisiva non sta andando bene e da due settimane è ferma, a rischio cancellazione. Ma questa domenica farà un’eccezione e l’episodio numero nove della prima stagione di Pan Am andrà in onda lo stesso negli Stati Uniti. Perché, alla fine, il motivo per cui la serie stessa è partita è proprio questo: oggi fanno esattamente venti anni da quando il mondo è senza Pan American World Airways. Un mondo più brutto, secondo alcuni, e che almeno la serie televisiva è riuscita in parte a far dimenticare.
Per gli americani in generale e per gli appassionati di volo in particolare, è quasi inconcepibile che da venti anni non ci siano più aerei con quel logo azzurro sulla pinna, che il globo non sia attraversato in lungo e in largo dalla compagnia aerea che più di tutte ha incarnato l’idea stessa di trasporto aereo nel mondo contemporaneo. Se per il Rinascimento al centro c’era l’uomo, per il Futurismo l’idea era la velocità e per la Bahaus il distillato stava nel minimalismo, per il volo c’è stata solo Pan Am, nient’altro che Pan Am.
È impossibile raccontare in un solo articolo la storia di questa compagnia che è stata per alcuni tratti l’anima stessa dell’industria aeronautica civile moderna: la sua vita è durata circa 64 anni (dal 1927 al 1991) ma è stata di una densità e di una ricchezza difficili da immaginare oggi. Fondata da militari delle Army Air Corps (gli antenati dell’aviazione militare americana, divenuta tale solo alla fine della seconda guerra mondiale), Pan Am aveva l’obiettivo geopolitico di tenere sotto scacco le nascenti compagnie aeree dell’America latina, in particolare quelle della Colombia, in realtà di proprietà tedesca. Nell’America isolazionista risuonava ancora forte la dottrina ottocentesca di James Monroe, “l’America agli americani” (che voleva dire: il sud e centroamerica ai nordamericani) e la neonata Pan American Airways ne era il braccio per così dire armato. Ma poco carrozzato, tanto che non aveva gli strumenti per fare quello che la lobby militare aveva spinto che potesse fare: vincere l’appalto per la posta e trasportarla verso il Grande Sud, a partire da Cuba, allora decisamente sotto l’influenza americana.
Dobbiamo aprire una parentesi, perché per raccontare la storia della Pan Am praticamente bisogna raccontare la storia dell’aviazione contemporanea e quindi di parentesi ne servono parecchie. Il servizio postale ha giocato un ruolo chiave nella nascita, formazione, consolidamento e sviluppo dell’aviazione civile. Praticamente, ne è stato il motore principale. Fino a tutti gli anni Quaranta, quando alla posta si cominciano a sostituire numeri consistenti di passeggeri paganti. Però, per dire, ancora nel racconto lungo Volo di notte – Corriere del sud di Antoine de Saint-Exupéry, il lavoro è quello di portare la posta, seppure ammantato di epico lirismo.
Cosa succede a questo punto nella storia di Pan Am? Arriva l’eroe. Sotto le spoglie di un signore che fin dal nome sembra un’altra cosa. Juan Trippe, nato nel 1899, con un nome dal suono spagnoleggiante ma con invece un solido passato tutto americano, Europa del nord doc e patentino Wasp controfirmato al punto da essersi laureato a Yale e aver cercato invano di combattere nella prima guerra mondiale (troppo giovane). Ma, in marina, il giovane Trippe scopre il fascino delle ali. E vola. Tanto che, dopo la laurea presa a guerra finita e con un ottimo lavoro a Wall Street già pronto senza bisogno di cercarlo, comincia a sentire la nostalgia dell’avventura.
Juan Trippe è uno dei colossi dell’aviazione contemporanea. Se non ci fosse stato lui e altri quattro o cinque uomini come lui (uno è il gran capo di Boeing, William M. Allen, e un altro è il responsabile del progetto per il B-747, Malcolm T. Stamper, sempre della Boeing) oggi l’aviazione avrebbe una forma parecchio differente. Basterebbe questo spunto per scrivere almeno un paio di libri. Torniamo a Trippe. Si annoia, siamo a metà degli anni Venti, lui non ha ancora compiuto trent’anni: New York gli va stretta. Decide di investire nei trasporti, entra in società con una nascente compagnia aerea che si occupa di posta a Miami, con potenziali aperture nel mercato Sudamericano. Finisce che acquista quell’embrione di compagnia aerea che è la Pan Am e decide di farne qualcosa di grande. Ci riuscirà al di là dei suoi sogni più sfrenati, grazie alla sua capacità leggendaria di guidare l’azienda che praticamente ha creato dal niente per più di quarant’anni, fino al 1968.
Trippe comincia a giocare forte, divertendosi parecchio. Negli anni Venti compra compagnie aeree nei posti più esotici e costruisce l’embrione di un network che ruota attorno a Miami. Acquista la China National Aviation Corporation (all’epoca la Cina è molto lontana dall’attuale assetto politico, e viene ancora tenuta sotto scacco dai paesi occidentali, Usa compresi), la Mexicana, Aerovias de Guatemala, e crea le prime, inedite alleanze e joint venture (come la Panagra) con i grandi armatori, che con le loro navi di linea costituiscono da un secolo lo strumento principale per i trasporti di persone, posta e merci attorno al mondo. In un’epoca senza telefono o altri strumenti per superare le grandi distanze, quello del transatlantico è un monopolio assoluto che Trippe aggredisce o blandisce a seconda delle esigenze. Il suo scopo diventa presto chiaro: sostituirsi in tutto e per tutto a quel mondo di eleganti velieri e monumentali transatlantici con i suoi aerei.
La Pan Am comincia a interessarsi seriamente alla possibilità di stabilire rotte aree attraverso l’Atlantico. Un anno è Charles Lindbergh a traversare in solitaria l’Oceano che divide l’Europa dagli Usa, un altro anno Trippe comincia a fare sempre più numerosi viaggi esplorativi lungo diverse rotte. All’epoca non c’era nessun aereo in grado di traversare in un solo balzo l’oceano: ci volevano almeno quattro tappe e ventiquattr’ore o più. Lo sa persino Ken Follett, che in questo scenario ha ambientato uno dei suoi romanzi di spionaggio forse meno noti ma nonostante questo sempre amati dagli appassionati di volo: Notte sull’acqua.
Così, mentre i suoi aerei saltellano dal Messico all’America, dalla Colombia a Cuba, dall’Argentina al Brasile, fino alla Cina, Trippe disegna le rotte del nord dell’Atlantico. Ha capito prima di altri che il business del volo richiede soprattutto capacità di stringere accordi negli aeroporti, con gli stati, attraverso la politica, e diventa un ambasciatore plenipotenziario degli Stati Uniti. Ma non in senso politico: la Pan Am avrà sempre un rapporto di simpatia ma anche di distanza, di autonomia dal governo americano. Pur essendo la più americana di tutte le compagnie aeree statunitensi.
Quando ha le sue rotte, Trippe comincia a lavorare alla prima rivoluzione del trasporto aereo. Cioè vuole usare giganti capaci di portare cinquanta, cento persone alla volta attraverso distanze prima inimmaginabili. Lo farà con i suoi famosi clipper. Il termine indica non solo le forbici ma anche l’azione di muoversi rapidamente, e in tale senso venne usata per un secolo con i veloci e leggeri trialberi che per tutto l’ottocento corsero attraverso i mari di tutto il mondo, per trasportare oppio, tè o per portare cercatori d’oro con velocità all’epoca inaudite.
I clipper di Pan Am sono una classe di giganteschi idrovolanti, i più grandi costruiti all’epoca. L’idea alla base dell’idrovolante era essenzialmente pratica: gli idrovolanti non erano in grado di atterrare e soprattutto decollare in maniera sicura in mare aperto, ma potevano utilizzare le acque costiere sottovento oppure le foci dei fiumi di qualsiasi parte del mondo. In questo senso, avevano bisogno di minori attenzioni per quanto riguarda le infrastrutture, senza dover aspettare che venissero costruite nuove piste per farli accomodare in città fino a quel momento vergini al trasporto aereo. Un bel vantaggio quando si vuole conquistare il mondo.
Nel 1931 Trippe dà il via all’era dei clipper di Pan Am con pochi bestioni a quattro motori realizzati dalla società di un russo fuggito in America dall’inferno della rivoluzione comunista nella madrepatria. Si tratta dei modelli S-38 ed S-40 prodotti dalla Sikorsky. I voli da San Francisco verso l’America del Sud portano per adesso una decina di passeggeri al massimo. Non vanno bene, serve qualcosa di meglio. Sikorsky produce per Pan Am anche dieci S-42, ma si sta aprendo l’epoca di altri aerei: c’è una gara che vede anche altri due costruttori in corsa. È affascinante come un romanzo, popolato di figure mitiche. Prima vincono i Martin M-130, ma ancora non siamo arrivati al massimo: lo zenith si tocca con i mitici Boeing B-314. I migliori mai prodotti nel campo degli idrovolanti di grandi dimensioni.
Chiedete a un appassionato quale libro vorrebbe regalato da Babbo Natale, e vi dirà uno che parla dei Boeing 314. Con tante foto. Molto grandi. I 314 sono aerei da settanta passeggeri, dieci persone di equipaggio, una sala da pranzo da 12 posti, tre ponti, una cucina “vera”. Camerieri in guanti bianchi e un cuoco di fama, da transatlantico. Ufficiali in divisa come cadetti di marina. Champagne e cibo sempre fresco. Un biglietto costava un anno del salario di un operaio. Se mai c’è stato un lusso nel volo, è quello creato da questo aereo in mano a Pan Am. Con i suoi mitici nomi, oramai entrati nella leggenda: Yankee Clipper, Honolulu Clipper, California Clipper. Sono dodici, come i cavalieri di Re Artù e molti hanno fatto una brutta fine durante la guerra: non ne è sopravvissuto nessuno sino ai giorni d’oggi. Gli amanti del volo vintage ancora oggi si ritrovano per raccontarsi storie di questo o quel cavaliere purtroppo scomparso.
È l’inizio della stagione più importante della Pan Am. Qui si forgia il mito. Nei dieci anni che precedono e coprono la guerra, gli aerei della Pan Am diventano il simbolo dell’espansione americana. Lo Yankee Clipper e il Dixie Clipper (varati rispettivamente nel febbraio e nell’aprile del 1939) definiscono un’epoca. La guerra passa senza portare troppi danni a Pan Am, grazie all’abilità di Trippe come leader. Gli equipaggi della Pan Am entrano nella leggenda. Sono i migliori piloti, quelli con più conoscenze, maggiori capacità, il bellissimo cappello bianco. Sanno pilotare, ma anche tracciare le rotte, riparare i motori, comunicare via radio con le marine di mezzo mondo. In un’epoca di piloti improvvisati, di reduci militari, quelli di Pan Am sono letteralmente i cavalieri del cielo. Lo dimostra l’avventura di un Boeing 314 che si trova in Nuova Zelanda quando i giapponesi attaccano Pearl Harbor. Rientrerà a New York dopo un volo di dieci giorni, il primo attorno al mondo: passerà dall’Australia, dall’India, dall’Arabia, dall’Africa, dal Sudamerica, dai Caraibi e infine dal Sud degli Stati Uniti. È un record di percorrenza in situazione normale: una prova di carattere e d’orgoglio per l’equipaggio.
La leggenda di Pan Am è tale che tutto quel che ruota attorno a lei diventa mito. Un esempio. I viaggi dagli Usa verso l’Europa prevedevano come ultima tappa prima di Londra o di Parigi l’Irlanda. Shannon e Foynes, per la precisione, dove i velivoli arrivavano all’alba, ma con un fuso orario completamente diverso per i loro passeggeri: tarda sera. Ecco che serviva una bevanda corroborante, un drink forte ma al tempo stesso servito in modo tale da non produrre scandalo facendo bere a gentiluomini e signore della buona società bicchieroni stracolmi di alcolici in un orario giudicato improprio dagli anglosassoni. Insomma, non potevi scendere da un Clipper della Pan Am alle sei del mattino e ordinare un whisky o un cognac, anche se per te erano le undici di sera. Così, grazie a Pan Am e a un intraprendente cuoco, venne inventato l’Irish Coffee: una pudica bevanda al caffè che cela un’anima alcolica arricchita di densa crema per nutrire, oltre che dissetare. Un classico istantaneo in tutto il mondo.
Pan Am costruisce anche un altro immaginario collettivo, che nel dopoguerra acquista sempre più rilievo nel costume sociale. La compagnia aerea alleva un nuovo genere di donne, le “stewardess” (non si chiamavano ancora “hostess”), che erano ambasciatrici leggendarie dell’eleganza e della freschezza americane. Parlavano le lingue, erano educate, giovani, assolutamente aperte e gioviali, non ancora sposate. Anzi, il matrimonio era giusta causa di licenziamento, così come l’eccessivo aumento di peso (tollerati fino a due chili in eccesso, tre no) o comunque la perdita del decoro nella figura. Belle, attraenti ma sempre virtuose: Pan Am non tollerava alcun tipo di trasgressione né da parte dei membri maschi degli equipaggi né tantomeno da parte dei passeggeri. Viene inventato apposta il “Pan Am smile”, il sorriso stile Pan Am: si muovono le labbra scoprendo i denti ma non si socchiudono gli occhi. Cordiale ma senza esagerare.
Il dopoguerra per Pan Am fu un crescendo: passò da un milione e mezzo di passeggeri nel 1951 a quasi cinque milioni nel 1960 e a ben 16 milioni nel 1970. Venne fondata la compagnia di alberghi InterContinental. Pan Am battezzò alcuni dei più importanti aerei della storia dell’aviazione, costruì un intero grattacielo su Park Avenue a Manhattan che divenne un’icona dell’architettura (un po’ scopiazzata dal Pirellone milanese, di cinque o sei anni più giovane) e fondò una rete di collegamenti in tutto il mondo che ha avuto pochi eguali. In pratica, a parte l’Antartide, non c’era un angolo della terra in cui non arrivasse un aereo della Pan Am. Ne utilizzava molti meno di quelli in forza alle flotte dei colossi di oggi, ma arrivava ovunque: quasi cento paesi, duecento città diverse con circa 150 aerei. E quando i Beatles decisero di andare a scoprire l’America, scelsero di volare ovviamente con Pan Am.
Uno snodo della storia di Pan Am vale la pena di essere approfondito, prima che cominci la crisi e la decadenza a partire dagli anni Settanta. Lo snodo è quello del trasporto di massa nei cieli. Che ruota tutto attorno a tre figure: Juan Trippe, William Allen (il presidente di Boeing) e il Jumbo Jet, cioè il Boeing 747, quello con la gobba sul dorso. La storia è semplice: Trippe amava profondamente i Boeing 707 (quelli del telefilm Pan Am, per intendersi) e i DC-8 della Douglas. Aerei giganteschi, dalla grande capacità e dalla consistente autonomia. Per questo desiderava un nuovo aereo che raddoppiasse capienza, autonomia e aumentasse sostanzialmente la velocità, pur restando un velivolo subsonico. In quegli anni, la metà dei Sessanta, si pensava che il futuro sarebbe stato dei jet supersonici come il Concorde (che Pan Am aveva preso in considerazione ma poi lasciato perdere) e quindi che le soluzioni come il 747 sarebbero stati dei tappabuchi.
Ma Trippe amava l’idea dei giganti dell’aria, dei colossi come i Clipper, e voleva muovere il maggior numero di persone possibili. A lui e ad Allen si deve la definizione dei Boeing 747 come “armi di pace di massa”, data la capacità di far letteralmente incontrare i popoli per vacanza o per fare affari. La Boeing accettò la sfida di Trippe e ci scommise letteralmente l’azienda sopra. Venne creato dal niente lo stabilimento di Everett, apposta per assemblare i 747. Furono spianati ettari di terreno impervio, rubati alla foresta a nord di Seattle e trasformati nella più grande struttura chiusa al mondo. E poi la concezione del 747, che per numero di componenti supera qualsiasi manufatto prodotto in serie dall’uomo e che riuscì ad innovare radicalmente la storia dell’aviazione. Ancora oggi il 747 è la spina dorsale dei viaggi intercontinentali.
Primo volo nel 1969, debutto nel 1970 a Washington Dulles con il Clipper Young America. Un aereo, quest’ultimo, dalla storia particolarmente travagliata: sempre nel 1970 lo Young America è il primo 747 a volare da New York a Londra, a causa di un guasto al candidato. Nell’agosto dello stesso anno viene poi dirottato su Cuba da un manipolo di rivoluzionari. Riprende servizio come Clipper Victor (per non spaventare i futuri passeggeri con la sua brutta fama) ma nel 1977 è coinvolto nell’incidente aereo più sanguinoso della storia dell’aviazione: lo scontro con un altro 747 dell’olandese Klm a Tenerife, nelle Canarie, che provoca la morte di 583 persone.
Torniamo a Pan Am. L’azienda, nonostante Trippe e nonostante la fama acquisita negli anni, comincia ad accumulare debiti. Il costo del denaro sale, il carburante anche, la compagnia aerea non è attrezzata per attraversare un periodo di austerità, un momento in cui anche i passeggeri vogliono meno glamour e biglietti più economici. Nasce negli Usa la prima compagnia low cost del mondo, la Southwest, e Pan Am cerca alleanze strategiche ma non riesce a finalizzare nessuna acquisizione (aveva provato con Eastern e con la TWA) perché è vittima del suo stesso successo: è troppo grande e il governo americano non le permette di acquistare ancora più quote di mercato.
(la storia e le immagini di TWA, la compagnia aerea americana sempre seconda)
Pan Am era nella sfavorevole situazione di operare solo su rotte internazionali pur essendo una compagnia nazionale. La mancata acquisizione di altri vettori con un bouquet di rotte nazionali la teneva ferma in un mercato dove la crescita mancava. L’eccessiva diversificazione (Pan Am possedeva decine di altre società in tutto il mondo, dalle agenzie viaggi alle piccole catene alberghiere) era un altro fattore di grave ritardo. E poi, si sentiva la mancanza di Trippe, un uomo capace di far succedere le cose. I suoi eredi non erano all’altezza: fecero sbagli strategici, non andarono nella direzione giusta.
La prima mazzata arriva nel 1985: Pan Am vende un quarto delle sue rotte alla United per quasi un miliardo di dollari. È una boccata di ossigeno per tirare avanti, acquistare nuovi aerei, svecchiare la flotta. Poi, comprando la Ransome Airlines, Pan Am cerca di crearsi un mercato locale di viaggiatori che alimentino i suoi segmenti intercontinentali. Con poco successo: la concorrenza in piena era della deregulation americana si è fatta feroce. È una guerra di prezzi: la gente vuole viaggiare pagando sempre meno, il carburante costa sempre di più, le nuove rotte sono alla portata di tutti. È il terreno ideale per far crescere e maturare le compagnie low cost (in Europa accadrà quasi venti anni dopo) che erodono ancora più mercato per Pan Am.
Il 21 dicembre del 1988 una bomba fa esplodere il volo 103 su Lockerbie, in Scozia. Muoiono 270 passeggeri partiti da Londra e diretti a New York. È l’immagine stessa di Pan Am a fare da bersaglio, anche se cresce il sospetto che la compagnia aerea non sia “sicura” e che, anzi, non riesca a gestire il rischio che la circonda. Pan Am gioca allora un’ultima, disperata carta: l’acquisizione di Northwest Airlines (compagnia aerea destinata a rimbalzare per venti anni da un potenziale compratore all’altro). Per la Pan Am e le banche che la supportano la battaglia di quell’estate del 1989 è semplice: si pagano 2,7 miliardi di dollari, si acquisisce una compagnia molto forte nel traffico nazionale e si rilancia sulle grandi rotte internazionali, soprattutto quelle del Pacifico. La cosa non va in porto.
Un anno dopo, nell’estate del 1990, Saddam Hussein invade il Kuwait e scoppia la Guerra del Golfo. Il mercato collassa, il rischio terrorismo e di attacco all’America raggiunge l’apoteosi, Pan Am perde soldi e vende tutti i gioielli della corona: le rotte su Londra a United, quelle su Berlino a Lufthansa, taglia migliaia di posti di lavoro. E poi, a gennaio del 1991, comincia l’agonia durata poco meno di un anno. Le grandi compagnie americane acquistano a prezzi da garage sale tutti gli asset di Pan Am: Delta si prende praticamente tutte le rotte rimanenti, il terminal di JFK a New York e offre la liquidità per far ripartire Pan Am nei Caraibi e Sud Amerca, con hub a Miami. Dura poco. Delta, che stava in realtà cercando di fare una acquisizione lenta (e meno costosa) di Pan Am rischia il contagio: quando si scopre che la compagnia perde tre milioni di dollari al giorno anche il titolo in Borsa di Delta prende fuoco. Lasciata sola a se stessa, Delta sta sprofondando. Stacca la spina l’allora numero uno di Delta, che blocca un assegno da 4 milioni di dollari. Una inezia, in termini assoluti, ma capace di far saltare l’azienda. Il 4 dicembre chiude i battenti: perdono il lavoro più di 10.000 persone, e quell’anno ha il record di fallimenti tra le grandi compagnie americane. Oltre a Pan Am chiudono anche Eastern Air Lines e Midway Airlines.
Il marchio Pan Am scompare così dal radar, anche se per ben quattro volte alcuni imprenditori americani cercano di farlo resuscitare. Sono piccole compagnie locali, servizi di cargo, charter e poco più. A dire il vero, un pizzico della Pan Am originaria continua a vivere in Florida. Si tratta della scuola di volo, l’accademia dei piloti di linea della compagnia che, seguendo gli accordi presi in tribunale per il fallimento di Pan Am, viene considerata marginale, autonoma e non profittevole. Quindi, ancora oggi la Pan Am International Flight Academy opera come scuola di volo simulato su quegli stessi apparecchi che venivano usati dai piloti della compagnia.
– L’articolo del Post sulla serie televisiva Pan Am
– Come si riempie prima un aereo
– Le foto di una settimana di elicotteri