La crisi del Monte dei Paschi vista dal Wall Street Journal
L'esposizione ai titoli di Stato italiani rischia di mettere nei guai la banca più vecchia del mondo
In questi giorni i leader europei stanno discutendo una nuova serie di misure per affrontare la crisi. Una delle proposte riguarda la possibilità di ottenere maggiori garanzie dalle banche più esposte verso i paesi che rischiano l’insolvenza, attraverso nuovi capitali che possano evitare problemi di stabilità. La proposta potrebbe interessare molte banche italiane, compreso il Monte dei Paschi di Siena, cui David Enrich e Deborah Ball dedicano un lungo articolo sul Wall Street Journal di oggi.
La banca più vecchia del mondo, il Monte dei Paschi di Siena Spa, è nel bel mezzo della tempesta. Secondo gli analisti, i leader europei potrebbero obbligare la banca a mettere insieme come minimo due miliardi di euro di nuovo capitale. I problemi del Monte dei Paschi di Siena potrebbero avere ripercussioni nell’intera area: la potente fondazione che possiede metà della banca sta riducendo drasticamente le donazioni, lasciando da parte il proprio ruolo di Medici dei giorni nostri.
Il responsabile della fondazione, Gabriello Mancini, spiega di non poter più essere il bancomat della città. Questo si potrebbe tradurre in un problema, aggiunge, perché molte istituzioni e organizzazioni hanno fatto affidamento per lungo tempo sulla fondazione. Negli ultimi tre anni questa ha ridotto il proprio impegno economico in Toscana dell’80 per cento e potrebbe ridurlo ulteriormente nei prossimi mesi.
Il problema per il Monte dei Paschi e per molte altre banche italiane, spiegano sul Journal, sono gli investimenti nei titoli di Stato italiani, ritenuti un tempo affidabili. I cinque principali acquirenti di titoli possedevano circa 164 miliardi di euro di debito italiano alla fine dello scorso anno, circa il doppio rispetto al capitale di cui dispongono per assorbire e compensare perdite economiche improvvise. All’epoca il Monte dei Paschi era risultato il più esposto: aveva 32,5 miliardi di debito italiano a fronte di un cuscino per le emergenze di 7,1 miliardi di euro. Di recente il rating della banca è stato ridotto dalle tre principali agenzie e, complice la crisi, tira una brutta aria sull’andamento della società.
Con circa tremila impiegati, la banca è la principale fonte di occupazione per Siena. Si occupa dei prestiti per circa il 60 per cento delle attività commerciali e dei privati nella zona. E non a caso viene chiamata “Babbo Monte” dai cittadini di quelle parti. […] Quando il Monte dei Paschi prosperava, le cose andavano bene anche per la fondazione. Fino al 2008 la banca produceva notevoli profitti. E la fondazione si occupava della gestione di circa 250 milioni di euro ogni anno per la zona di Siena.
Con l’arrivo della crisi e l’operazione di acquisto della Banca Antonveneta, avviata nel 2007, le cose iniziarono ad andar meno bene per il Monte dei Paschi. Nel 2009 la società ottenne un aiuto dallo Stato italiano pari a 1,9 miliardi di euro, in cambio del pagamento di 160 milioni di euro di interessi ogni anno.
Nei due anni seguenti, l’economia peggiorò e i profitti del Monte dei Paschi si ridussero. I dividendi azionari, legati alle prestazioni finanziarie della banca, arrivarono a meno di un centesimo per azione nel 2009. Questo privò la fondazione di una delle principali fonti di raccolta di denaro. La fondazione reagì tagliando le donazioni dai 230 milioni di euro del 2008 ai 100 milioni di euro nel 2010. Ora ha in programma di donare 50 milioni quest’anno e la stessa cifra l’anno prossimo.
Il Wall Street Journal racconta le difficoltà degli ultimi mesi della banca, obbligata a ottenere nuovi fondi per aumentare il proprio capitale. La società ha emesso nuove azioni per 2,1 miliardi di euro e ne ha comprate per un miliardo per non perdere controllo e autonomia, ma spendendo molto altro denaro e accendendo nuovi prestiti. L’operazione ha anche nuociuto alle quotazioni in borsa del Monte dei Paschi.
Se le azioni del Monte dei Paschi continueranno a scendere, o se i suoi dividendi saranno ancora limitati, la fondazione avrà probabilmente bisogno di vendere altre azioni per avere il denaro necessario per pagare i 600 milioni di euro di prestito. In questo caso la quota posseduta dalla fondazione potrebbe diminuire e scendere sotto il 50 per cento.