10 risposte per la SIAE
Massimo Mantellini risponde alle questioni poste dalla Società Autori ed Editori sulla delibera AgCom
di Massimo Mantellini
Ieri mattina alcuni quotidiani hanno pubblicato una pagina a pagamento della Società Italiana Autori ed Editori in sostegno alla delibera AgCom sulla pirateria online che è stata molto discussa e criticata nelle scorse settimane. La pagina – firmata da moltissimi iscritti – elencava dieci domande più o meno retoriche sulle questioni care alla SIAE: il Post ha chiesto a Massimo Mantellini, esperto di internet, blogger e piuttosto critico sulla delibera AgCom, di rispondere alle domande della SIAE.
Rispondere punto per punto al proclama pubblicato dalla SIAE non è semplice. Per una unica consistente ragione: gli autori e la società che ne tutela i diritti non sono lo stesso soggetto. Molte delle dieci domande che Siae propone hanno risposte radicalmente differenti se si esce dal piccolo ricatto di una impossibile identità fra società di riscossione e soggetti tutelati.
In ogni caso proviamoci lo stesso.
1. Perché il diritto d’autore, che fuori dalla rete è riconosciuto, in rete non deve essere remunerato?
Generalizzare si può ma la stragrande maggioranza dei soggetti che in rete criticano le norme in vigore sul diritto d’autore, la SIAE e Agcom pensano che il diritto d’autore in rete debba essere tutelato. Certo con norme nuove, al passo con i tempi, ma nel frattempo, anche con le vecchie, pensate quando Internet non esisteva.
2. Perché coloro che criticano il provvedimento AGCOM non criticano anzitutto il furto della proprietà intellettuale? Perché impedire la messa in rete di proprietà intellettuale acquisita illegalmente dovrebbe essere considerata una forma di censura?
Il furto della proprietà intellettuale è certamente un reato, su Internet come altrove, ed esistono norme, ampiamente ridondanti, che lo attestano. La censura che in questi giorni è stata spesso citatata in relazione al regolamento Agcom non riguarda questo, semmai il fatto che simili norme in via di approvazione consentiranno di censurare senza troppi scrupoli contenuti di rete che non rientrano in tale tipologia di materiale. Insomma si può provare a giocare con le parole ma questi sono i rischi.
3. Perché dovrebbe risultare ingiusto colpire chi illegalmente sfrutta il lavoro degli altri?
Si tratta di una affermazione vaga e senza molto senso. Tutti noi genericamente sfruttiamo il lavoro altrui, anche quando non paghiamo un centesimo. La diffusione della conoscenza nella nostra società funziona esattamente in questo modo ed è un meccanismo in larga parte svincolato da dinamiche economiche. Consiglierei la lettura di Remix di Lawrence Lessig ma anche i barattoli di zuppa Campbell’s di Andy Warhol vanno bene uguale per farsi una idea.
4. Perché si ritiene giusto pagare la connessione della rete, che non è mai gratis, ed ingiusto pagare i contenuti? E perché non ci si chiede cosa sarebbe la rete senza i contenuti?
Di nuovo, nessuno ha mai detto che i contenuti non devono essere pagati (anche se il costo dei servizi di accesso o l’hardware non c’entrano nulla con tutto questo, comincio a credere si tratti di una ossessione in dieci punti). In ogni caso vale lo stesso la pena ricordare che la stragrande maggioranza dei contenuti che gli utenti raggiungono in rete (la ragione stessa per cui la rete esiste) non sono (fortunatamente) tutelati da società come la SIAE ma sono liberamente immessi dagli utenti stessi, o aggiunti all’interno di schemi leciti come il pubblico dominio, il diritto di citazione o quello di cronaca.
5. Perché il diritto all’equo compenso viene strumentalmente, da alcuni, chiamato tassa? Perché non sono chiamate tasse i compensi di medici, ingegneri, avvocati, meccanici, idraulici, ecc.?
Non si tratta della “strumentalizzazione di alcuni”, temo. L’equo compenso forse non è tecnicamente una tassa ma è un aiuto di Stato ad un comparto in crisi, completamente scorporato da meccanismi di tutela del diritto d’autore. Questo aiuto è effettuato, in misura che non ha riscontro in altri paesi, scaricadolo sui cittadini che comprano hard disk, memorie e device elettronici anche non direttamente utilizzabili per la copia privata. Forse definirlo tassa è tecnicamente errato, di sicuro quantitativamente è una vessazione che non ha alcun legame con gli onorari professionali di medici, ingegneri ed idraulici (soprattutto idraulici) citati come esempio.
6. Perché Internet, che per molte imprese rappresenta una opportunità di lavoro, per gli autori e gli editori deve rappresentare un pericolo?
Sarebbe utile distinguere: per gli autori Internet è una opportunità enorme. Per gli intermediari è invece generalmente un problema. Per gli intermediari che ragionano come ai tempi delle cassette Stereo8 è un vero incubo. Per gli editori o per società come la SIAE è il pungolo di ampi cambiamenti che spesso questi stessi soggetti negli ultimi anni hanno rifiutato. Per entrambi è, in ogni caso, un punto di svolta. Piaccia o non piaccia Internet c’è. Si potrà scegliere fra una nuova consapevolezza o… una nuova consapevolezza. In entrambi i casi comprare pagine intere sui quotidiani non aiuterà.
7. Perché nessuno si chiede a tutela di quali interessi si vuole creare questa contrapposizione (che semplicemente non esiste) tra autori e produttori di contenuti e utenti?
La contrapposizione di cui oggi ci si accorge è il frutto di dieci anni di politiche scapestrate da parte dell’industria dei contenuti. Pubblicità con le manette, vecchiette trascinate in tribunale, forsennate attività di lobbing per inasprire le norme vigenti, rootkit spia nei CD in vendita, DRM, limitazioni regionali sui DVD, amplissime campagne di stampa ed oggi, finalmente, il regolamento Agcom. E dall’altro lato nessuna concessione ad un mondo che è cambiato (l’unica, forse, quella imposta quasi a forza da Apple con iTunes), nessuna visione, nessuna umiltà. Il che è anche peggio.
8. Perché dovremmo essere contro la libertà dei consumatori? Ma quale libertà? Quella di scegliere cosa acquistare ad un prezzo equo o quella di usufruirne gratis (free syndrome) solo perché qualcuno che l’ha “rubata” te la mette a disposizione?
Per anni gli utenti di Internet hanno sognato che l’industria culturale progettasse contenuti digitali ad un prezzo equo e con caratteristiche adatte alla condivisione in rete. Avremmo in moltissimi di gran lunga preferito ambiti legali economici e moderni di fruizione dei contenuti al posto dei richiami della pirateria. Per ora abbiamo ebook che costano come la versione cartacea e che non possiamo prestati nemmeno a nostra zia. Ma siamo fiduciosi, stiamo aspettando.
9. Perché nessuno dice che l’industria della cultura occupa in Italia quasi mezzo milione di lavoratori e le società “over the top” al massimo qualche decina? E perché chi accusa l’industria culturale di essere in grave ritardo sulla offerta legale di contenuti, poi vuole sottrarci quelle risorse necessarie per continuare a lavorare e dare lavoro e per investire sulle nuove tecnologie e sul futuro?
L’industria culturale è fondamentale per il paese, i pianti greci però non servono. Ma senza rinnovamenti, senza capacità di adattarsi al mondo che cambia, nessuno di noi sarà disposto a giustificare la insostituibilità del telegrafista ai tempi della posta elettronica. Forse il Ministro Bondi poteva crederci, noi no. Quanto agli “over the top”, l’assalto ai quali in questo paese sta diventando sport nazionale, provateci voi a creare Google o Facebook o Apple, poi ripassate che ne discutiamo.
10. Perché, secondo alcuni, non abbiamo il diritto di difendere il frutto del nostro lavoro, non possiamo avere pari dignità e dobbiamo continuare a essere “figli di un Dio minore”?
Gli artisti hanno mille ragioni per difendere il proprio lavoro. Una di queste potrebbe essere chiedere come mai in Italia esista una sola società che tutela (male) i loro diritti in regione di monopolio. Una società anomala, da anni ad un passo dal fallimento, con costi altissimi, amplissime inefficenze più volte certificate, ed un simpatico neoeletto commissario straordinario 95enne, dopo che l’ultimo direttore è fuggito improvvisamente senza dirci perchè. Dal 2009 giace in Parlamento un progetto di legge per rimuovere questo monopolio la cui scomparsa potrebbe finalmente far immaginare nuovi strumenti moderni di ripartizione delle royalties nel mondo digitale. Si potrebbe iniziare da quì. Vediamo se Pippo Baudo è d’accordo.