Una ragazza lesbica a Damasco
La storia di Amina Abdullah, giovane donna omosessuale il cui blog è uno dei simboli della protesta siriana
Aggiornamento del 13 giugno 2011
Un attivista di Edimburgo, Tom MacMaster, ha ammesso di essersi inventato la storia di Amina, come spieghiamo oggi qui.
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Il blog di una ragazza lesbica di Damasco è improvvisamente diventato il simbolo della protesta contro il regime di Assad. Tutto è iniziato lo scorso 26 aprile con un post intitolato My Father, the Hero, in cui Amina Abdallah, 26 anni, raccontava come suo padre l’aveva difesa dall’arrivo in piena notte della polizia di stato che voleva arrestarla con l’accusa di essere una salafita al servizio di spie internazionali.
Abbiamo avuto una visita dei servizi segreti, di notte. Eravamo tutti mezzi addormentati. Io mi sono svegliata quando ho sentito il rumore e ho capito immediatamente che cos’era successo. Mi sono messa qualcosa addosso e mi sono precipitata giù per le scale. Mio padre era già lì, non si era neanche preoccupato di mettersi dei vestiti addosso e indossava soltanto una maglietta del pigiama. Stava già discutendo animatamente con loro. Quando sono arrivata, uno di loro ha fatto un cenno dicendo: «È lei». «Io?», ho risposto. «Sì, dobbiamo parlare con te». Poi ha iniziato a snocciolare una serie di cose di cui ho parlato sul mio blog. «Ne abbiamo abbastanza», ha detto «Cospirazione contro lo stato, incitazione alla rivolta, collaborazione con elementi stranieri». «E quali?» «I Salafiti», aggiunge l’altro. «Davvero?», li interrompe mio padre «Mia figlia è una salafita?» e inizia a ridere «Guardatela: non vedete che è ridicolo? Non porta neanche più il velo e se davvero aveste letto anche la metà di quello che ha scritto sapreste quanto è ridicolo quello che avete detto. Quand’e stata l’ultima volta che avete sentito un salafita dire che nessuna religione dovrebbe essere religione di stato?». Loro sono rimasti in silenzio. «E quand’è stata l’ultima volta che avete sentito uno di loro dire che i gay dovrebbero avere il diritto di sposarsi? Uomini con uomini e donne con donne?». Ancora nessuna risposta. «Dato che non avete niente da rispondere, non avete nessun motivo per portare via mia figlia». A questo punto uno di loro sussurra qualcosa all’orecchio dell’altro, poi si volta e sorride. «Quindi tua figlia ti dice tutto, eh?». «Certo», risponde mio padre. «Ti ha anche detto che va a letto con le donne?», sogghigna, pensando di avercela fatta. «Ti ha detto che le piace scopare con le ragazzine (la parola araba usata è ancora peggiore)?». Mio padre mi guarda, io annuisco. «È mia figlia», risponde «ed è quello che è: se la volete dovete prendere anche me».
Amina Abdallah è nata negli Stati Uniti da madre americana e padre siriano ed è cresciuta a metà tra i due paesi. Da anni vive in Siria dove insegna inglese e da qualche mese ha iniziato a tenere un blog “A Gay Girl in Damasco” in cui come suggerito dal titolo racconta in modo molto esplicito e diretto le avventure quotidiane di una donna omosessuale e musulmana che vive in Siria. La famiglia di Amina è molto ricca e ha da sempre stretti legami con il governo, di cui fanno parte alcuni suoi parenti, e sicuramente questo ha influenzato molto la decisione finale dei due poliziotti di non arrestarla.
L’omosessualità è illegale in Siria, anche se tollerata rispetto a molti altri paesi musulmani. «È difficile essere una lesbica in Siria», ha scritto in un suo post Amina «ma è certamente più facile che essere un dissidente politico. Ci sono molti più gay qui di quanto si possa pensare, anche se sono meno appariscenti che altrove». I suoi post spesso descrivono le sue avventure sentimentali con altre ragazze, la scoperta di un salone di bellezza a Damasco pieno di lesbiche e la franchezza con cui ha sempre parlato della propria omosessualità con il padre. Dice di non vedere nessun paradosso nell’essere musulmana e lesbica: «Sono una credente: prego cinque volte al giorno, digiuno durante il Ramadan e ho anche portato il velo per dieci anni. Credo che Dio mi abbia fatto così come sono e mi rifiuto di credere che Dio faccia errori».
Le sue influenti connessioni familiari finora l’hanno tenuta al riparo dalle ritorsioni del regime, ma dopo l’arrivo della polizia quella notte lei e suo padre hanno deciso di separarsi e di andare a vivere in posti diversi pur restando in Siria. Amina si è rifiutata di andare con sua madre a Beirut e da allora continua a scrivere sul suo blog appena può, spostandosi continuamente da una casa all’altra: «Quando mio padre dice che non se ne andrà dalla Siria a meno che non arrivi la democrazia o la morte, non ho altra scelta se non restare. Lui ha deciso di restare, quindi resterò anch’io».