Uno studio lungo tutta la vita

Da 65 anni, la vita di 5300 inglesi viene seguita in ogni dettaglio, rivelando come la nostra infanzia influenzi la nostra vita adulta

di Massimo Sandal

In una fredda settimana di marzo, in una Gran Bretagna appena uscita dalla guerra, nascono cinquemila bambini. Bambini qualunque, protagonisti però di uno studio eccezionale. Già dalla nascita, ogni dato della loro vita viene registrato dai medici: non solo peso e stato di salute, ma anche il numero di stanze della loro casa o il lavoro del padre. Nel corso degli anni ogni aspetto quantificabile della loro esistenza verrà misurato, catalogato, archiviato e pubblicato: fino a oggi quando, come riporta Nature questa settimana, compiono 65 anni.

Sembra una folle moltiplicazione di Truman Shows, ma in realtà stiamo parlando della MRC National Survey of Health and Development (Indagine nazionale sulla salute e lo sviluppo del MRC – il Consiglio di Ricerche Mediche del Regno Unito), il più vasto e più lungo studio demografico sul corso della vita umana mai realizzato. Tutto parte da un medico, James Douglas, che viene incaricato nel 1946 di condurre uno studio statistico sulla maternità inglese (l’allora Impero Britannico, appena uscito dalla guerra, era allarmato dalla mortalità infantile e dal calo delle nascite). Con uno sforzo impressionante 13.687 neo-mamme, in una settimana di marzo, vengono raggiunte e intervistate a fondo dal team di Douglas. Due anni dopo lo studio viene pubblicato nel volume Maternità in Gran Bretagna, che rivela un abisso tra le classi ricche e quelle meno agiate per quanto riguarda la sopravvivenza dei neonati e la gestione del dolore nelle partorienti.

Sull’onda dei risultati, Douglas si pone l’obiettivo di documentare e comprendere l’impatto delle diseguaglianze sociali sulla vita dei britannici. Deciderà quindi di continuare lo studio, selezionando 5362 bambini e tracciandone ogni dato misurabile, fisico e intellettivo. Scopre che il divario sociale influenza profondamente il successo scolastico: i bambini più ricchi andranno meglio a scuola dei loro compagni più poveri ma egualmente intelligenti. I due studi che Douglas pubblica al riguardo nel 1964 e nel 1968 contribuiranno alla riforma scolastica inglese degli anni ’60.

A questo punto Douglas pensava di avere finito. Ma nel 1968 il testimone viene passato a un epidemiologo, Michael Wadsworth, che se ne occuperà per ulteriori 30 anni, estendendo l’ambito della ricerca al di là dello specifico obiettivo di Douglas. Convince il governo a finanziare ulteriori raccolte dati sui “bambini del 1946”, e inizia a correlare i dati che trova in tutte le combinazioni. Incrociando le enormi quantità di dati a disposizione, i ricercatori guidati da Wadsworth hanno trovato correlazioni inedite e spesso sorprendenti. Per esempio, come riporta Nature:

Le bambine che pesano di più alla nascita sono più a rischio, decenni dopo, di tumori al seno; bambini nati in classi sociali disagiate tendono a prendere più peso da adulti; donne con quoziente intellettivo più alto vanno in menopausa più tardi; i bambini piccoli che hanno passato più di una settimana in ospedale saranno poi più propensi a sviluppare problemi del comportamento e dell’apprendimento.

In generale, lo studio ha rivelato come sia importante l’ambiente socioeconomico di partenza per lo sviluppo futuro:

I bambini nati in circostanze socioeconomiche migliori sono stati i più portati ad avere successo a scuola o all’università, a sfuggire alle malattie cardiache, a rimanere in forma e mentalmente brillanti e, per adesso, in generale a sopravvivere.

Non sempre un’infanzia positiva ha però dei risvolti positivi. Uno studio recente sui bambini del 1946 ha mostrato che un’infanzia felice porta a una maggiore percentuale di divorzi in età adulta (Marcus Richards, Felicia Huppert. Do positive children become positive adults? Evidence from a longitudinal birth cohort study. The Journal of Positive Psychology, 2011; 6 (1): 75 DOI: 10.1080/17439760.2011.536655). L’ipotesi è che bambini più felici diventino adulti più sicuri di sè stessi e che quindi più facilmente hanno il coraggio di rompere una relazione problematica.


In totale i dati raccolti sulla cosiddetta “corte del 1946” hanno già riempito otto volumi e più di 600 articoli scientifici. Ed è solo l’inizio. Il progetto è oggi guidato da Diana Kuh, a capo di uno staff di 25 ricercatori e 100 collaboratori e ha una sede apposita, a Londra. I ragazzi del 1946 sono ben più preziosi oggi di quanto Douglas prima e Wadsworth poi potevano immaginare. Prima di tutto, a causa dello sviluppo della genetica, oggi possiamo analizzare dati che erano impensabili pochi decenni fa. Martin Widschwendter all’University College London per esempio sta progettando di analizzare come la metilazione del DNA (un’alterazione chimica fisiologica) possa spiegare, per esempio, la correlazione tra peso alla nascita e rischio di tumore al seno. Altre correlazioni, come quella tra quoziente intellettivo e menopausa, restano misteriose. Ma c’è un progetto ben più ambizioso in ballo: Il MRC sta per approvare il piano per i prossimi cinque anni di studio, e una delle idee proposte, ritenuta “pressochè inevitabile” secondo Nature, è quella di sequenziare il genoma di tutti i cinquemila soggetti. Campioni biologici di ciascuno sono già pronti per questo scopo, congelati nei frigoriferi dell’MRC.

In secondo luogo, sessantacinque anni dopo, i bambini che Douglas aveva scelto per studiare la società inglese negli anni ’50 e ’60 hanno ormai raggiunto l’età della pensione. Il nuovo obiettivo è chiaro: studiare a fondo le cause dell’invecchiamento. L’ultima batteria di test a cui sono stati sottoposti i soggetti, tra il 2006 e il 2010, ha scandagliato aspetti come la memoria, l’osteoporosi, l’abilità fisica e l’equilibrio, per capire come il corso della vita di una persona ne acceleri o rallenti il decadimento fisico e psicologico.

Per adesso però Diana Kuh ha in mente qualcosa di più leggero: organizzare cinque enormi feste di compleanno, in cui i soggetti dello studio si incontreranno fra loro per la prima volta nelle loro vite. L’idea era stata scartata precedentemente nel timore che la reciproca conoscenza dei soggetti potesse in qualche modo influenzare le loro vite, e quindi falsare gli studi: come dice Wadsworth: “In fondo eravamo preoccupati che qualcuno potesse abbandonare il suo partner e fuggire assieme a qualche altro soggetto”. Ma a 65 anni il rischio è ormai considerato accettabile. Diana ha invitato anche la Regina, che – a quanto riporta Nature – non ha ancora risposto.

E i ragazzi del 1946 cosa ne pensano? Di solito, sono felici e orgogliosi che le loro vite siano state alla base di tante scoperte. Uno dei partecipanti ha dichiarato: “In qualche modo, mi rende fiero.” E sapere che il loro invecchiamento verrà minuziosamente registrato fino alla morte non li preoccupa più di tanto: “Ti aiuta ad accettare che sei mortale, che non durerai per sempre. Ti rendi conto che la tua memoria se ne va. Ma sai anche che da qualche parte, archiviata per sempre, c’è una parte di te.”