Editoriale: Cose che non si può
Un primo ministro non contesta la scuola pubblica, né i suoi insegnanti. Punto. Andarsene
Al Post riteniamo che tutto quello che siamo venuti a sapere sul PresdelCons in questi mesi – attraverso canali non sempre limpidi, grazie a intenzioni non sempre nobili – basti a pretenderne le dimissioni indipendentemente da qualunque legittimazione democratica di due anni fa. Se Berlusconi pensa che quella legittimazione oggi esista ancora, accetti di andare a votare e di verificare se per i suoi elettori niente è cambiato: ma quella legittimazione non ha niente a che fare con il quadro di irresponsabilità e indegnità pubblica – pubblica – che il caso Ruby eccetera ci ha mostrato.
Ma volendo concedere un esagerato credito di buona fede ai sostenitori dell’estraneità di quelle storie dal ruolo di un capo di governo, volendo sospendere la sfinente e infantile discussione se si possa far convivere la guida di un paese importante e moderno, nel 2011, con una vita di tanta scelleratezza, con compagnie disdicevoli e preoccupanti e con abusi di potere provati, ci sono cose più importanti che a un primo ministro non possono essere concesse e che non sono minimamente configurabili come estranee al suo ruolo.
E una, gravissima e intollerabile, è il disconoscere e il prendere le distanze dalla scuola pubblica, come Berlusconi ha fatto oggi. La scuola pubblica non è un tema opinabile, non è un soggetto con cui il governo può confrontarsi: è parte dell’istituzione che rappresenta, e ne è una parte importantissima. Che questa importanza sia stata insultata di fatto in questi anni attraverso un progressivo disimpegno del governo dal ruolo dell’istruzione, della cultura, della crescita delle generazioni e dell’Italia, è già una scelta sciagurata, per quanto dettata evidentemente da progetti lungimiranti di autoconservazione dell’ignoranza.
Ma dissociarsi dal ruolo degli insegnanti e della scuola pubblica – che sono una sola cosa: difficile accusare la sinistra di avere nominato gli insegnanti – , sostenere che la scuola possa “inculcare principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono”, è una contraddizione inaccettabile almeno quanto il mancato riconoscimento dei simboli italiani da parte di alcuni ministri leghisti. Solo che per i secondi si tratta di uno sciocco capriccio simbolico da non assecondare con altrettanta sciocchezza, mentre la condivisione del ruolo della scuola è un fondamento concreto del dovere di un governo: il ministro Gelmini, domani, con chi starà? Con la scuola di cui è responsabile o col suo premier e contro la scuola? Se la scuola fa il contrario di quello che i genitori vorrebbero, chi se ne assume la responsabilità?
Le richieste di dimissioni vanno avanti e indietro come onde e risacca, ormai, in Italia. Tempo perso. Ma sia messo a verbale che non si può. Non si può fare il Presidente del Consiglio e dire una cosa così.
“Educare i figli liberamente vuol dire di non esser costretto a mandarli a scuola in una scuola di stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli”