La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio – Episodio 1
Nel suo libro Enrico Brizzi racconta vent’anni di storia italiana, Il Post da oggi ne pubblica quindici episodi e Makkox li disegna
di Enrico Brizzi
Quando qualche settimana fa Laterza ha pubblicato “La vita quotidiana ai tempi del Silvio” – il libro che Enrico Brizzi ha dedicato agli ultimi vent’anni di storia italiana raccontati attraverso la sua storia personale – al Post ci è sembrata una storia perfetta per essere adattata a una moderna forma di feuilleton quotidiano: conteneva riferimenti attualissimi, vicende condivise, una scrittura molto piacevole ed episodi puntuali e isolabili. Così lo abbiamo proposto all’autore e all’editore Laterza, che hanno accettato di scegliere per quest’idea una ricca antologia delle storie del libro che da oggi il Post pubblica quotidianamente, per quindici puntate. Sono ormai storia e al tempo stesso “quantomai attuali”, come si dice. Buona lettura.
Nel 1948, dopo l’attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti, mezzo paese si trovava pronto ad insorgere.
Secondo una fola che ogni sportivo italiano ha sentito ripetere, i comunisti si sarebbero astenuti dal principiare la rivolta grazie a una vittoria di Gino Bartali al Tour de France; la notizia, portata dalla radio in ogni angolo della giovane Repubblica, avrebbe infatti mandato in sollucchero i «Rossi», facendoli sentire finalmente fratelli di ogni altro italiano.
Se rivolta non vi fu, naturalmente, è perché non fu comandata dal Partito; in caso contrario, che quel giorno Bartali vincesse per distacco o che rovinasse bestemmiando in una scarpata pirenaica, nessuno avrebbe impedito scontri su larga scala fra militanti e forze dell’ordine.
Eppure, nella coscienza collettiva degli italiani, è stato un ciclista a salvare il paese dal caos.
Com’è possibile?
Il fatto è che la Storia la scrive chi vince, ma saperne inventare di nuove aiuta a mantenere il Potere.
Negli ambienti democristiani, raccontare che Bartali aveva paralizzato a distanza gli scalmanati comunisti pronti al peggio suonava rassicurante. Era la conferma che la Provvidenza può manifestarsi nelle maniere più inattese, persino attraverso le pedalate d’un campione (purché non immorale come Fausto Coppi).
Gino Bartali sapeva bene di non essere un santo dell’antichità, eppure se ne ritrovò cucita addosso la nomea: che se ne rendesse conto o meno, aveva compiuto un miracolo, il primo avvenuto via radio.
Di quanti e quali sarebbe stata capace la televisione italiana, all’epoca ancora non si sospettava niente.
Col tempo, invece, ci saremmo abituati a una qualità nuova di emozioni: avremmo visto Raffaella Carrà propiziare l’incontro di fratelli separati da cinquant’anni, e restituire la parola in diretta a una bambina muta.
Avremmo visto Enzo Tortora finire in carcere, e riapparire in tivù poco prima di morire, papa Giovanni Paolo II cadere sotto i colpi dell’attentatore, ristabilirsi e viaggiare per tutto il mondo, mentre Iva Zanicchi ci sfidava a indovinare il prezzo giusto e Mino Damato camminava sui carboni ardenti. Grazie alla televisione avremmo potuto seguire la seconda vita di Paolo Bonolis senza il pupazzo Uan, e tante nostre impacciate coetanee si sarebbero trasformate in vallette e cubiste, o almeno ci avrebbero provato.
Come il presunto miracolo radiofonico di Bartali, anche quelli della televisione italiana avrebbero avuto talora l’effetto collaterale di nuocere all’onorabilità, al morale e all’esistenza stessa della Sinistra italiana – ma i miracoli son miracoli, mica si può restituirli al mittente.
Semmai, bisogna essere capaci di raccontarli.
Quando il Silvio, raccontatore di miracoli impareggiabile, si affacciò sulla scena politica, ancora si ripeteva in giro che la televisione era lo specchio della società.
Era un’interpretazione ormai inadeguata: presto la società italiana sarebbe entrata dentro quello strano specchio, tutta intera come Alice e, come lei, sarebbe partita per il viaggio più colorato e spaventoso della propria Storia.