Come sopravvivere a un bombardamento atomico
Negli Stati Uniti si torna a parlare dell'atomica e dei modi migliori per salvare la pelle
Quando il bombardiere statunitense Enola Gay sganciò l’atomica su Hiroshima, il 6 agosto del 1945, circa 70mila persone morirono pochi secondi dopo l’esplosione della bomba. I bombardamenti atomici sul Giappone fecero nascere un grande e globale timore verso la possibilità di un olocausto nucleare, una paura destinata a durare nei decenni successivi del Novecento a causa del perdurare delle tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Gli anni del disarmo atomico hanno allontanato questi timori, tuttavia alcuni governi aggiornano periodicamente i loro piani di emergenza in caso di un attacco atomico, come ha da poco deciso di fare l’amministrazione Obama.
A quattro giorni dalla fine del suo secondo mandato, il 16 gennaio del 2009 George W. Bush, diffuse un documento di 92 pagine contenente le linee guida per affrontare un eventuale bombardamento nucleare sul suolo americano. La documentazione non conteneva, però, alcuna informazione sulle procedure da adottare per informare la popolazione e fornire consigli utili per la sopravvivenza. Dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Barack Obama si impegnato per accelerare il disarmo atomico su scala globale e ha ripreso il documento sull’emergenza atomica della precedente amministrazione, avviando nuove consultazioni e ricerche per tradurre nella pratica i suoi contenuti e informare correttamente la popolazione.
Il nuovo piano è pronto dallo scorso giugno e contiene alcuni dettagli interessanti, come spiega William J. Broad sul New York Times, che sfatano alcuni dei miti più radicati sugli attacchi atomici dai tempi della Guerra Fredda. Scappare dal luogo dell’attacco subito dopo l’esplosione nucleare, per esempio, aumenta di molto le probabilità di non sopravvivere a lungo, dicono gli esperti.
La cosa migliore da fare non è scappare, ma cercare un posto sicuro in cui rifugiarsi: e non deve trattarsi necessariamente di un bunker antiatomico. Secondo i ricercatori, anche infilarsi in un’auto può aumentare sensibilmente le probabilità di sopravvivenza, almeno del 50 per cento. Trovare un rifugio, anche improvvisato, nelle prime ore dall’esplosione è quindi fondamentale. Uno studio su un ipotetico attacco nucleare contro Los Angeles ha dimostrato che, se gli abitanti a un miglio di distanza dal punto dell’esplosione tentassero la fuga, ci sarebbero almeno 285mila vittime dovute alla pioggia radioattiva. Se invece della fuga, cercassero un qualsiasi tipo di rifugio – comprese le automobili – il numero delle vittime potrebbe ridursi a 125mila. Se poi si potessero rifugiare tutti nelle cantine o nei tunnel della metropolitana, le vittime potrebbero essere “solo” 45mila.
Nel Nuclear Incident Communication Planning, uno dei documenti [pdf] realizzati dal Dipartimento della sicurezza interna, un semplice grafico illustra i luoghi più sicuri in città per proteggersi da un attacco atomico. Naturalmente i luoghi sottoterra sono classificati come ideali, tuttavia anche un appartamento in un palazzo in cemento armato può ridurre sensibilmente i pericoli legati alla contaminazione e all’esposizione alle radiazioni. I locali con fattore 10 sono già ritenuti sufficientemente sicuri.
Un altro dato interessante è legato agli effetti indiretti di una esplosione atomica. Oltre alla potente onda d’urto, l’esplosione è accompagnata da un bagliore accecante. Nelle aree non colpite direttamente dall’ordigno, buona parte della popolazione potrebbe rimanere temporaneamente cieca e questo, dicono gli esperti, potrebbe avere serie ripercussioni per chi si trova in quell’istante alla guida di un veicolo. Paradossalmente, nelle aree più distanti dal punto di impatto, la maggior parte delle vittime potrebbe essere causata da incidenti stradali più che dalle radiazioni.
I responsabili del governo sostengono che la guerra fredda ha creato del fatalismo inverosimile sugli attacchi nucleari. «Le possibilità di sopravvivenza sono molto più alte di quanto si possa pensare» spiega un funzionario coinvolto nel progetto, mantenendo l’anonimato. «La chiave di tutto è evitare la pioggia radioattiva».
Il problema, dicono a Washington, è che buona parte della popolazione non è a conoscenza di queste informazioni che un giorno potrebbero salvargli la vita. Nel corso degli ultimi decenni si è parlato molto di disarmo e di strategie per contrastare possibili nuovi attacchi, ma non sono state più investite risorse per istruire la popolazione e aggiornarla sulle ultime conoscenze scientifiche acquisite sugli attacchi nucleari. In parte, l’informazione è mancata perché si temeva di allarmare inutilmente la popolazione, generando ansie aggiuntive a quelle causate, per esempio, dagli attacchi terroristici del 2001.
I detrattori del nuovo corso intrapreso da Obama per divulgare con maggiore chiarezza pericoli e soluzioni per affrontare un attacco nucleare sostengono che impegnare tempo, risorse e denaro su questo tema sia inutile vista la sostanziale assenza di una minaccia nucleare che possa interessare direttamente il territorio degli Stati Uniti. Il governo è però determinato a far passare chiaramente il messaggio che, nella seppur remota ipotesi di un attacco atomico, si può sopravvivere alle radiazioni adottando alcune semplici precauzioni come trovare un rifugio ed evitare la fuga.