La storia di Aung San Suu Kyi
Premio Nobel per la Pace e leader dell'opposizione birmana, è è stata liberata dopo quindici anni
Aung San Suu Kyi è stata liberata dopo quindici anni di arresti domiciliari. Migliaia di persone l’spettavano da ieri fuori dal cancello della sua casa di Rangoon. «Dobbiamo lavorare insieme per raggiungere i nostri obiettivi», ha detto rivolgendosi ai suoi sostenitori. Quindi li ha invitati a tornare domani a mezzogiorno (ora locale) alla sede del suo partio – la Lega Nazionale Democratica – dove terrà un discorso più lungo, «Ho tante cose da dirvi, non ci siamo visti per così tanto tempo», ha detto prima di rientrare in casa.
L’avvocato di Aung San Suu Kyi ha detto alla BBC che la giunta militare le aveva inizialmente offerto la liberazione a patto che accettasse di non spostarsi da Rangoon, ma che lei ha rifiutato. Le forze di sicurezza birmane non sono intervenute per disperdere la folla e hanno lasciato che i festeggiamenti continuassero. «È la nostra madre, è la nostra madre!», urlavano molte persone in lacrime quando l’hanno vista affacciarsi al cancello della sua abitazione.
La formazione
Aung San Suu Kyi è considerata la più importante dissidente al mondo dai tempi della detenzione di Nelson Mandela. Figlia di un generale del Partito comunista birmano, la sua famiglia è sempre stata al centro delle vicende politiche del proprio paese. Da giovane studiò prima a Delhi e poi a in Inghilterra, per poi cominciare a lavorare alle Nazioni Unite.
La leadership democratica
Ritornata in Birmania nel 1988, proprio nel mezzo delle grandi manifestazioni studentesche di protesta di quell’anno, fondò la Lega Nazionale per la Democrazia in risposta alla presa di potere di una nuova giunta militare. Fu arrestata per la prima volta nel 1989 con l’accusa di costituire un «pericolo per lo stato». Quando l’anno dopo i capi della giunta decisero di concedere libere elezioni per sancire la propria ascesa al governo, il partito di Aung San Suu Kyi ottenne una schiacciante vittoria con più dell’ottanta percento dei voti nonostante la sua assenza. Ma i militari annullarono i risultati.
Gli arresti
Negli anni che seguirono, Aung San Suu Kyi è stata più volte messa in semi-libertà, per essere però sempre ri-arrestata. Privata di quasi ogni forma di comunicazione con l’esterno, nel 2003 si è vista estendere per la terza volta il suo mandato d’arresto: fattispecie contraria sia alle leggi birmane che a quelle internazionali. Nell’agosto del 2009 fu accusata per avere apparentemente violato i termini degli arresti domiciliari, violazione che può essere punita con cinque anni di carcere. La giunta l’aveva accusata di avere ospitato per due notti un uomo di origine americana, che aveva raggiunto la sua abitazione nuotando attraverso un lago. Suu Kyi si è sempre dichiarata innocente, ma tutti e tre i suoi ricorsi in appello per ottenere una completa assoluzione sono stati respinti: l’ultimo proprio ieri l’altro.
L’influenza politica
Influenzata dal pensiero di Gandhi, si è sempre fatta promotrice del principio della nonviolenza come cardine di ogni movimento di dissenso. In conseguenza di questo atteggiamento le fu conferito, nel ‘91, il Nobel per la pace come riconoscimento della «sua lotta nonviolenta per la democrazia e i diritti umani». Ha usato il premio in denaro assegnatole dall’accademia norvegese per istituire una fondazione che vuole contribuire a incentivare l’educazione e la sanità dei giovani birmani. Dagli arresti domiciliari a cui è costretta ha continuato a essere il punto di riferimento dell’opposizione alla dittatura. Nell’ultimo periodo le sue aperture alla giunta militare hanno fruttato solamente l’umiliazione di vedersi rifiutate le più elementari concessioni, cosa che ha portato alcuni dei suoi sostenitori a chiederle di ripensare l’intero contegno della propria protesta.
Le elezioni di domenica
Il regime non le ha consentito di candidarsi alle elezioni di domenica – le prime del paese dopo vent’anni – e lei ha risposto chiedendo al suo partito e ai suoi sostenitori di boicottare il voto. La scelta ha prodotto una spaccatura all’interno della Lega Nazionale della Democrazia, tra chi è rimasto fedele alla sua linea e chi invece ne ha contestato l’eccessiva intransigenza e si è comunque candidato alle elezioni come rappresentante di un nuovo partito. Per avere invitato il popolo birmano a boicottare le elezioni, il regime ha comunque ordinato lo scioglimento della Lega Nazionale per la Democrazia, che di fatto è diventata un partito illegale.
Il futuro
In molti ora si chiedono che cosa aspetterà San Suu Kyi se davvero sarà liberata e quale potrà essere il suo ruolo politico. Alcuni temono che dopo decenni di isolamento forzato potrebbe avere perso la capacità di unire l’opposizione, ora frastagliata e in preda a una lotta interna. In ogni caso, dovrà rapportarsi con una classe dirigente che, scrive IPS, sarà diversa dai precedenti comandanti militari e meno incline a trattare con lei come successo in passato.
Secondo Amnesty International è possibile che – una volta assicuratosi la vittoria alle elezioni – il regime birmano abbia deciso di liberare Aung San Suu Kyi per cercare di riguadagnare un minimo di legittimità a livello internazionale, ma che in ogni caso anche la sua eventuale liberazione non potrà essere considerata una svolta per la Birmania: «Se San Suu Kyi dovesse cercare di nuovo di mobilitare i suoi sostenitori la giunta militare potrebbe riarrestarla immediatamente», ha detto Niall Couper. Secondo molti analisti, il fatto che Suu Kyi continui a mantenere rapporti con un partito ufficialmente considerato illegale potrebbe essere usato come pretesto dalla giunta militare per arrestarla di nuovo. Il suo ritorno sulla scena politica potrebbe infatti essere considerato una minaccia troppo pericolosa per il nuovo governo che si sta formando.
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