Bush rivendica l’utilizzo del waterboarding
George Bush ammette di avere approvato l'uso del waterboarding durante gli interrogatori post 11 settembre
Il prossimo martedì negli Stati Uniti uscirà “Decision Points”, l’attesa autobiografia di George W. Bush, presidente degli Stati Uniti dal 2000 al 2009. Sui giornali americani da qualche giorno hanno già iniziato a circolare alcune anticipazioni, tra cui quella riportata oggi dal Washington Post secondo la quale nel libro Bush ammette e rivendica di avere autorizzato personalmente l’uso del cosiddetto waterboarding durante gli interrogatori di alcuni detenuti accusati di terrorismo dopo gli attentati dell’undici settembre.
Il waterboarding consiste nell’immobilizzare un individuo legandolo a un’asse inclinata, con i piedi in alto e la testa in basso, e versargli acqua sulla faccia. Si tratta di una forma di annegamento controllato, in quanto l’acqua invade le vie respiratorie ma viene fermata prima che la persona possa effettivamente morire. Il soggetto sottoposto a waterboarding non può controllare il flusso dell’acqua né interromperlo o sottrarvisi, e quindi pensa che la propria morte sia imminente. La morte per soffocamento può sopravvenire se il waterboarding non è interrotto. Sono anche possibili danni polmonari, danni cerebrali derivanti dalla riduzione dell’apporto di ossigeno, e danni fisici quali fratture derivanti dal tentativo di liberarsi. La pratica induce molto spesso danni psicologici prolungati.
Nel libro Bush racconta che quando gli agenti della CIA gli chiesero l’autorizzazione a procedere con il waterboarding contro Khalid Sheik Mohammed, considerato il principale architetto degli attentati dell’undici settembre, lui rispose: «Damn right!», ma certo! E aggiunge che lo rifarebbe ancora oggi se si trovasse nella stessa situazione. Durante un’intervista all’ABC nell’aprile del 2008, Bush aveva già ammesso una prima volta di avere autorizzato la pratica del waterboarding ai danni di vari detenuti dopo avere verificato con il Dipartimento di Giustizia che si trattava di un metodo legale. Lo stesso Dick Cheney, allora vicepresidente degli Stati Uniti, aveva detto di essere «un grande sostenitore del waterboarding». Poco tempo prima però il Dipartimento di Giustizia aveva rigettato alcune delle basi su cui si era fondata una prima analisi della tecnica impiegata dalla CIA. Nonostante questo, una settimana prima di lasciare la Casa Bianca, Bush aveva confermato che si rifiutava di usare la parola “tortura” per il waterboarding, la stessa posizione che oggi ribadisce nel suo libro di memorie.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il Procuratore Generale degli Stati Uniti Eric H. Holder Jr. hanno entrambi dichiarato che il waterboarding è uno strumento di tortura, una posizione ora sostenuta anche da alcuni Repubblicani. Ma l’amministrazione Obama finora ha deciso di non prendere provvedimenti contro gli ex membri dell’amministrazione Bush. Il 10 dicembre 1984 l’assemblea generale dell’ONU ha adottato la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Gli stati contraenti devono rendere conto ogni quattro anni alla Commissione Onu Contro la Tortura delle misure da loro adottate per rispettare gli obblighi imposti dalla Convenzione. La stessa a cui in passato si sono appellati i tribunali di Belgio e Spagna per giustificare inchieste su misure adottate dagli Stati Uniti nei confronti di alcuni loro cittadini.
Tom Malinowski, di Human Rights Watch, ha confermato che il waterboarding è ormai largamente considerato uno strumento di tortura e che in quanto tale è universalmente perseguibile come crimine contro l’umanità: «Il fatto che nessuno di noi si aspetti conseguenze da questa nuova ammissione dell’ex presidente Bush è molto interessante».