I “temi sensibili” non esistono
Irene Tinagli sulla Stampa spiega perché i limiti alla libertà delle persone non possono essere le "offese alla sensibilità", e come l'assenza della politica ci ha portati a questo punto
Negli ultimi giorni si sono accavallate una serie di segnalazioni e notizie il cui denominatore comune è il fatto che a un certo punto un gruppo di persone – spesso bagnanti, in spiaggia – abbia manifestato irritazione per i comportamenti di altre persone, siano questi una donna in topless, una mamma che allatta suo figlio, due ragazzi che si baciano. È la punta dell’iceberg: da anni vediamo persone e istituzioni sancire obblighi e divieti sulla base della presunta offensività di questo e quello. «Offende la mia sensibilità» è diventato una specie di argomento pigliatutto, quello a cui non si può ribattere. Oggi Irene Tinagli sulla Stampa spiega perché pensare che i limiti della libertà di un individuo siano non più il rispetto della legge e della libertà degli altri, bensì la loro “sensibilità” è una deriva molto pericolosa. E quali responsabilità ha la politica italiana, se siamo arrivati a questo punto.
Il caldo si sa, dà un po’ alla testa, ma non può essere solo il caldo la causa dell’ondata di denunce, insulti e aggressioni rivolte a persone che, a detta dei denuncianti, «offendono» il pudore e la sensibilità della gente. Ma chi sono questi svergognati e quali sono i vituperati atti osceni oggetto del contendere? Sono coppie dello stesso sesso che si tengono per mano e che si scambiano un bacio in pubblico.
E che per questo vengono denigrate, umiliate e in alcuni casi picchiate (come pochi giorni fa a Pesaro). Sono donne che prendono il sole in topless, come nel caso di una giovane denunciata sulla spiaggia di Anzio perché «turbava» i figli della vicina di ombrellone. Sono docenti di educazione sessuale denunciati perché spiegano il sesso a ragazzi già adolescenti chiamando le cose col proprio nome anziché ricorrere alla metafore delle api, come è successo qualche mese fa a Treviso. Sono persino mamme che allattano i propri figli in pubblico. Potrebbero sembrare casi sporadici e come tali ignorati senza troppi allarmismi.
Ma è un fenomeno in corso già da alcuni anni su cui varrebbe la pena riflettere. Anche l’estate scorsa sono state numerose le aggressioni ai gay che camminavano per mano, considerati «vergognosi» e oltraggiosi, così come si sono avuti episodi di mamme alle quali è stato impedito di allattare in pubblico, come una mamma allontanata da un ristorante di Madonna di Campiglio, o un’altra redarguita dal proprietario di uno stabilimento balneare della riviera romagnola perché avrebbe dovuto allattare chiusa in cabina. Questi comportamenti non possono essere attribuiti alla tradizione cattolica o a qualche fattore culturale immutato e immutabile del nostro Paese, perché venti anni fa di donne in topless al mare se ne vedevano a decine, e a nessuno veniva in mente di gridare allo scandalo e chiamare la polizia. Magari qualcuno poteva storcere il naso e pensare «non ci sono più i bravi giovani di una volta», ma c’era la consapevolezza di una società che cambiava, di nuove regole di convivenza civile alle quali occorreva adeguarsi. E soprattutto cominciava a farsi strada, allora, un concetto di libertà e di diritti civili e individuali che oggi a quanto pare sta diventando sempre più condizionato, limitato non tanto dal rispetto della legge, come dovrebbe essere, ma dalle sensibilità personali. Il limite della libertà di un individuo oggi non sembra essere più il rispetto della legge e della libertà degli altri, ma della loro sensibilità, del loro concetto di buono e cattivo, di ciò che a loro piace o dà fastidio. E questa è una deriva molto insidiosa.