Bologna, 2 agosto
Il 2 agosto 1980 una bomba uccideva 85 persone, l'attentato più letale della storia del dopoguerra
di Giovanni Fontana
Oggi è il 2 agosto, e sono le 10.25. Il 2 agosto 1980, ora, esplodeva l’ordigno più letale dell’intera storia repubblicana. Provocò la morte di 85 persone, e il ferimento – anche grave o permanente – di un paio di centinaia: la strage della stazione di Bologna. L’orologio della stazione, bloccato sulle dieci e venticinque di quel sabato a causa della deflagrazione, è divenuto il simbolo del tempo fermatosi per le vittime del massacro.
Quella di Bologna è anche l’unica strage di quegli anni per cui la magistratura ha accertato e condannato con sentenza passata in giudicato gli esecutori materiali: gli esponenti di estrema destra Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, sempre dichiaratisi innocenti. Non venne accertato un vero e proprio movente, né si fece luce su quali furono i mandanti della strage; subirono una condanna per i depistaggi ai danni delle indagini Licio Gelli, capo della P2, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, tutti membri dei servizî segreti.
Il corso della vicenda giudiziaria è stato tortuoso e sottoposto a molteplici chiavi di lettura, spesso in contraddizione fra loro.
Nelle giornate successive all’esplosione ci furono numerose rivendicazioni e smentite delle stesse rivendicazioni. La prima telefonata che reclamava la paternità dell’attentato fu quella dei Nuclei Armati Proletari, ne seguirono due di colore completamente opposto: quelle dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), gruppo neofascista di cui erano membri di rilievo Giuseppe Fioravanti e Francesca Mambro. La pista del terrorismo nero fu il primo e principale filone delle indagini a essere seguito anche per la coincidenza fra la data della strage e il deposito dell’ordinanza di rinvio a giudizio per la bomba dell’Italicus – strage dalle modalità simili a quella di Bologna, e di matrice neofascista – avvenuto nella medesima mattinata.
Nei tre mesi successivi all’attentato, fra l’agosto e l’ottobre del 1980, vengono arrestati numerosi militanti dell’estrema destra. Tutti, con l’eccezione del diciassettenne Luigi Ciavardini, verranno scagionati da ogni implicazione. Nel febbraio dell’anno successivo viene arrestato Giuseppe Fioravanti, figura di spicco dei NAR. Due mesi dopo viene arrestato Massimo Sparti, anche lui vicino ai NAR, che diventerà il principale testimone e accusatore di Fioravanti e Mambro.
La testimonianza di Massimo Sparti è uno degli aspetti più controversi della vicenda: Sparti racconta di aver incontrato Mambro e Fioravanti due giorni dopo l’attentato, incontro nel quale Fioravanti si sarebbe vantato dell’entità dell’attentato e avrebbe chiesto a Sparti che gli fossero prodotti documenti falsi per i due. L’episodio è smentito dalla moglie e dalla suocera di Sparti – e successivamente, al di fuori del processo, dal figlio Stefano – che dichiarano che Massimo non si sarebbe mai mosso dalla propria casa di campagna nell’alto laziale, lontano dalla capitale dove sarebbe avvenuto il supposto incontro. I giudici ritengono, però, credibile la testimonianza di Massimo Sparti, e questa assieme all’assenza di un alibi verificabile per Fioravanti e Mambro diventa il cardine della sentenza di condanna per i due.
All’interno dello stesso processo ai danni degli esecutori della Strage di Bologna, viene esaminata la vicenda delle prove fittizie che alcuni membri del servizio segreto militare avrebbero messo in atto per depistare le indagini: viene accertato che i presunti effetti personali di due terroristi stranieri – e una valigia contenente un esplosivo affine a quello utilizzato a Bologna – fatti ritrovare sul treno Taranto-Milano del 13 gennaio 1981, assieme al finto dossier “terrore sui treni”, fossero produzione dei membri del SISMI Pietro Musumeci e Francesco Pazienza per tentare di accreditare una pista internazionale che, data l’estemporaneità d’azione e l’indipendenza dei pretesi esecutori, avrebbe esaurito la questione del mandante. A questi depistaggi avrebbero collaborato un altro generale del servizio segreto, Giuseppe Belmonte, anch’egli – come Musumeci – iscritto alla P2 facente capo a Licio Gelli.
Anche l’iter processuale è accidentato: alla sentenza di condanna in primo grado del 1988, segue due anni dopo l’assoluzione completa per tutti gli imputati, nel processo d’appello. Nel 1992 la Cassazione annulla la sentenza d’assoluzione e dispone che sia ricelebrato il processo d’appello, questo avviene ancora due anni dopo nel 1994 e, questa volta, conferma le sentenze di condanna nei confronti degli imputati. Il 23 novembre del 1995, infine, è la Corte di Cassazione a confermare la sentenza per Fioravanti, Mambro, Belmonte, Gelli, Musumeci e Pazienza. Nel corso dei varî gradi del processo altri imputati vengono scagionati dai diversi capi d’accusa, in particolare Massimo Fachini e Sergio Picciafuoco in una prima fase coimputati per strage. La condanna a Luigi Ciavardini, minorenne al tempo dei fatti, viene cominnata dal Tribunale per i minori di Bologna, e viene confermata prima in appello e poi in Cassazione l’11 aprile del 2007.