La condanna di Ganzer
Il generale del ROS Giampaolo Ganzer è stato condannato in primo grado a 14 anni di carcere
Il generale del ROS — il Raggruppamento operativo speciale, l’unità investigativa dell’Arma dei Carabinieri — Giampaolo Ganzer è stato condannato ieri in primo grado a 14 anni di carcere e all’interdizione dai pubblici uffici, con l’accusa di aver organizzato e diretto un traffico di cocaina dal Sudamerica, un’attività di copertura che il ROS usava per attirare e arrestare i trafficanti di droga.
Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiega così la condanna.
[I traffici di droga] furono creati, ritiene la sentenza di primo grado, da una dozzina di quegli stessi investigatori allo scopo di poter poi far finta di reprimerli e così inanellare carriere. Tutta un’altra storia, fatta in realtà — ha prospettato il pm Luisa Zanetti— di “arresti solo di singoli corrieri mordi e fuggi, fuga dei capi trafficanti, mancato sequestro di ingenti somme di denaro, arricchimento certo dei narcos, aumento del traffico perché si è fatta entrare in Italia molta droga. E, prima di tutto, tradimento dei principi del diritto e deviazione dai doveri istituzionali”.
Gli imputati avrebbero comprato carichi di droga da trafficanti sudamericani o libanesi (mai denunciati), fingendo d’aver già identificato gli acquirenti malavitosi di quei traffici. Che avrebbero invece attirato solo in un secondo momento, istigandoli ad acquistare la droga importata. Avrebbero poi arrestato solo gli ultimi anelli della catena, e, con l’obiettivo di mettere in piedi operazioni simili, usato i soldi della vendita della droga importata, di cui “veniva omesso il sequestro”. Il tutto coperto dalla stesura di falsi rapporti.
Sono stati condannati altri tredici imputati, tra cui Mauro Obinu, membro dei servizi segreti dell’Aisi, e Jean Ajaj Bou Chaaya, uno dei quattri narcotrafficanti imputati che avrebbero gestito l’importazione della droga in Italia, a cui è toccata la pena più alta, 18 anni.
I fatti risalgono agli anni ’90, poco dopo la costituzione del ROS, il gruppo nato nel dicembre del 1990 dai Nuclei Speciali antiterrorismo di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il pm Luisa Zanetti aveva chiesto 27 anni per Ganzer, ma la pena è stata diminuita perché i giudici non hanno riconosciuto il reato di associazione a delinquere. Scrive Repubblica:
La tesi della procura era che in realtà i carabinieri non si erano limitati a intercettare le rotte della droga ma avevano creato un canale del tutto nuovo: il tutto per consentire sequestri che dessero visibilità – e quindi avanzamenti di carriera – e introiti economici ai vertici del Ros. L’assoluzione dal reato di associazione per delinquere fa cadere quest’impostazione.
Secondo Fabio Belloni, avvocato difensore di Gilberto Lovato, uno degli imputati, la sentenza mostra la decisione dei giudici di considerare illegittime solo le singole operazioni antidroga, non che ci fosse un “metodo”. L’accusa ha già comunicato che ricorrerà in appello, non soddisfatta per la caduta del reato di associazione a delinquere. È stato invece prescritto il capo d’imputazione di traffico d’armi:
Ganzer avrebbe fatto arrivare dal Libano quattro bazooka, 119 kalashnikov, 2 lanciamissili e centinaia di proiettili nel dicembre 1993 vendendoli pochi mesi dopo a una cosca calabrese alla quale, subito dopo, l’arsenale fu sequestrato.
L’avvocato di Ganzer di è dichiarato “esterrefatto”, mentre il capo generale dei Carabinieri Leonardo Gallitelli ha confermato la “piena affidabilità” di Ganzer. Anche il ministro dell’interno Maroni ha speso parole di fiducia per il generale, come aveva fatto in precedenza per i condannati del G8:
“Sono fermo sostenitore della presunzione di innocenza fino a prova contraria — commenta il ministro dell’Interno Maroni —. Ganzer ha la fiducia del Comando generale dei carabinieri e quindi anche la mia.”
Anche il Corriere della Sera e Repubblica danno ampio spazio alla difesa di Ganzer, raccontando il generale come un uomo intelligente, schivo e spigoloso, ma sempre al servizio dell’Arma e dei suoi superiori. Sottolineando la “commozione” che ha colpito qualcuno, quando Ganzer ha chiamato a sé i suoi uomini. Fiorenza Sarzanini sul Corriere scrive che
la «mazzata» di ieri l’ha assorbita a suo modo, con il sorriso sulle labbra e l’atteggiamento ostentato di chi paga per una colpa che non ha commesso.
Carlo Bonini su Repubblica si concentra invece sui metodi dell’investigazione del generale,
un’investigazione «speciale» e «segreta», che lavora senza guanti, che sa essere molto redditizia nei risultati, perché invasiva nelle tecniche di ascolto e pedinamento, aggressiva, spiccia e persuasiva con i confidenti. Soprattutto, dove i rapporti di forza tra polizia giudiziaria e magistratura sono capovolti, con la prima a dettare tempi e canovaccio dell´indagine. E la seconda chiamata a dare veste giuridica a un risultato comunque raggiunto.
Ancora Bonini, che racconta di metodi decisi e spregiudicati che Ganzer avrebbe ereditato dal generale Mario Mori, cita la difesa scritta di Ganzer:
«Se è esistito un “metodo Ganzer” o un “metodo Ros” – aveva detto e scritto – ebbene, io lo rivendico. Perché non ho mai ingannato i miei superiori o i miei ufficiali. Perché non ho violato la legge. Perché in questi cinque anni, quanto è durato il processo, i risultati del contrasto alla lotta alla criminalità e al traffico internazionale di droga parlano chiaro: 56 latitanti arrestati, 2 miliardi e mezzo e 15 tonnellate di sostanza stupefacente sequestrati. Perché le attività sotto-copertura hanno fatto da apripista a una legge dello Stato innovativa. Perché se è esistito un “metodo illegale”, allora qualcuno dovrebbe spiegare per quale motivo quel metodo non è stato applicato ad altre attività di indagine e perché per quel metodo, che avrei ereditato al momento del mio arrivo al Ros, e che pure ha seguito criteri e competenze giudiziarie piuttosto diverse, non è mai stato indagato il generale Mario Mori».
Aderisce all’autodifesa di Ganzer il commento di Giuseppe De Bellis sul Giornale, che titola “trattato peggio dei criminali” (ma non si capisce chi siano, i criminali, se non le persone condannate a 14 anni, ancorché in primo grado).
Bisogna capire perché ogni volta che un poliziotto o un carabiniere o un agente segreto si muove per gli interessi del Paese poi finisce nei guai. Che c’è, ci meravigliamo che ci sono pezzi dello Stato che si muovono sul confine tra legalità e illegalità per vincere la guerra contro i criminali? L’inchiesta di Milano sul capo del Ros di Milano non è riuscita a dimostrare che abbia rubato un solo euro, che abbia usato la droga che per l’accusa lui e il suo gruppo faceva importare dall’estero per fini personali o per arricchirsi. Ganzer faceva arrivare la droga che finiva nelle mani dei trafficanti sui quali indagava che così subito dopo venivano arrestati. Per i magistrati ha infranto la legge, per il tribunale di Milano è un narcotrafficante: un uomo che ha fatto sbattere in cella decine di persone che smerciavano droga ovunque è un bandito. Siamo così: prendiamo i nostri soldati e quando non ci servono più li abbandoniamo, li facciamo triturare dalla furia giustizialista dei pubblici ministeri e dal puntiglio dei giudici.
Ed è perplesso dalla condanna anche l’editoriale del Foglio:
Qui una certa contraddizione si riscontra nella stessa sentenza, perché secondo logica, un gruppo di militari non si mette a spacciare droga se non per realizzare un piano, che può essere un’operazione sotto copertura nella quale magari si è superato qualche limite, e allora la condanna a 14 anni è un’enormità, o può essere un’operazione con finalità illegali, e in questo caso non si comprende come si possa realizzare senza un’intesa tra gli interessati