Dieci cose sulla scuola italiana
I guai della scuola, i disastri compiuti dalla destra e gli sbagli della sinistra
di Marco Campione
La scuola italiana funziona perfettamente? No. Ce lo dimostrano tutte le ricerche nazionali e internazionali sugli apprendimenti e soprattutto ce lo dicono altri indicatori “indiretti”. Un compito della scuola è contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali. Oggi questo non accade, come ci ha ricordato un rapporto dello scorso anno sulla mobilità sociale nel nostro Paese curato da Irene Tinagli per Italia Futura. La nostra società è insieme immobile ed iniqua e il principale strumento di ascesa sociale, l’istruzione, non funziona.
Il problema della scuola italiana è il “lassismo” figlio del ’68 come ci ripetono certi cantori dei bei tempi andati sia di destra che di sinistra? No. In Italia si boccia tantissimo, soprattutto negli istituti tecnici e professionali (cifre intorno al 25% per i primi due anni) e in particolare si bocciano sempre gli “ultimi”: quelli che entrano a scuola con più chances di essere bocciati ne escono bocciati.
I principali oppositori del cambiamento necessario sono gli insegnanti, come sostiene la destra? Non sempre. Sono pochissimi gli insegnanti che sostengono “tutto va bene, madama la Marchesa”. C’è invece nella scuola una parte significativa di docenti cosciente delle esigenze di ripensamento, che si concepisce non come esecutore indifferente al risultato del proprio lavoro, ma come professionista, ricercatore, progettista di percorsi formativi. Che si concepisce in un ruolo, con una responsabilità. Per questo vuole che le sia riconosciuto il diritto di poter crescere nelle mansioni e nella retribuzione nel corso della propria carriera lavorativa, vuole le nuove tecnologie, vuole stare a scuola in uffici idonei non solo per le 18 ore in cui sta in aula, ritiene suo diritto che il proprio lavoro venga valutato e valorizzato, premiando impegno e risultati conseguiti. Per questo non accetta più che il proprio percorso di assunzione avvenga un meccanismo anonimo ed inefficace come l’attuale.
E allora chi si oppone al cambiamento? Tutti coloro che hanno da perdere rendite di posizione, a partire dall’apparato ministeriale, per scendere fino alle frange più corporative delle organizzazioni sindacali. E chi arresta la propria analisi al pigro luogo comune sulla “scuola migliore del mondo”. Non è così.
Qual è l’errore principale fatto dal governo? Aver impostato tutta la cosiddetta riforma facendosi guidare esclusivamente da esigenze di risparmio e procedendo attraverso tagli indiscriminati, ovvero uguali ovunque a prescindere da un giudizio su cosa funzionasse e cosa no.
Ma allora non è vero – come dice la Gelmini – che nella scuola c’erano “sprechi”?
Questo è in parte vero, ma non nel senso che intende la Gelmini. E soprattutto la toppa è peggiore del buco. Sulle elementari il ministro ha sostenuto che il Tempo Pieno (40 ore, due insegnanti per classe, con le compresenze) e il modello dei moduli (30 ore, tre insegnanti per due classi, con le compresenze) fossero uno spreco, e li ha spazzati via. Avrebbe invece dovuto verificare dove avveniva che si chiedessero docenti per fare 30 ore e se ne facevano 24, questo sì uno “spreco”. I tagli indiscriminati per loro stessa natura penalizzano maggiormente le realtà più virtuose.
40 ore di scuola e Tempo Pieno sono la stessa cosa? No, il Tempo Pieno non è una versione lunga della scuola mattutina. L’unico modello di Tempo Pieno possibile è quello con due insegnanti per classe (e quindi con le compresenze) che permetta il progetto didattico che prende questo nome; l’alternativa è che per dare 40 ore si usino 3, 4 o 5 insegnanti per classe a fare poche ore a testa: alla faccia della figura unica di riferimento tanto propagandata. Se si deve risparmiare si verifichi dove il progetto didattico del Tempo Pieno non è soddisfatto e si intervenga lì, ma se il progetto della scuola è valido, devono essere garantite le risorse per erogarlo. Il Tempo Pieno è stato messo in discussione solo per ragioni di costi: non è un criterio con cui riformare la scuola.
Ma ormai la riforma della Primaria è Legge e non si può tornare indietro. Paradossalmente, per ora sarebbe tollerabile che fosse almeno applicata: classi a Tempo Pieno là dove c’erano nel 2008, e per queste due insegnanti per classe: non uno di meno. Alcuni uffici scolastici regionali – quello della Lombardia tra questi – hanno invece assegnato l’organico andando oltre quanto previsto dallo stesso regolamento Gelmini. La mobilitazione di questi giorni, se finalizzata a questo obiettivo concreto (ripristinare il contingente previsto dalla stessa riforma Gelmini) e non a generiche rivendicazioni, potrà dare risultati in vista dell’assegnazione – che avverrà nelle prossime settimane – dell’organico di fatto (per semplificare, un organico aggiuntivo).
Il disegno della destra è favorire la scuola non statale? Qui entriamo nell’opinabile, ma anche questo è un mito da sfatare o almeno una semplificazione fuorviante. Il disegno della destra è innanzi tutto il risparmio in un settore da essa vissuto come estraneo ed ostile. Poi ci sono di certo puntuali interessi ideologici ed economici che si aggrappano a questo disegno, e la scuola privata sta venendo “risparmiata” piuttosto che favorita. Ma il disegno culturale della destra è la descolarizzazione e il ritorno alla scuola della sola istruzione e del mero trasferimento di conoscenze. Fallirà, perché la società va in un’altra direzione, ma nel frattempo si sarà accumulato un ritardo ulteriore rispetto agli altri Paesi.
Nemmeno il centrosinistra ha le idee chiare. Dopo l’esperienza del Ministro Berlinguer, che ha lasciato incompiuto il suo disegno riformatore a causa di alcuni errori da lui commessi (il principale è stato fidarsi troppo del sindacato quando gli ha detto che uno strumento rozzo come il concorsone avrebbe funzionato, e poi sottovalutare Gilda e Snals), ma soprattutto degli avversari interni che lo hanno fatto allontanare, è seguito un lungo periodo di silenzio. Da alcuni mesi le cose sono cambiate e molti territori hanno iniziato a produrre idee e mobilitazione attorno ad una proposta capace di sfidare il governo del Paese (e qui in Lombardia anche Formigoni).
Di alcune di queste si discuterà il prossimo 18 giugno a Milano nella Prima Conferenza sulla scuola del Pd lombardo. Saranno presenti tra gli altri Luigi Berlinguer e Francesca Puglisi, responsabile nazionale scuola del Pd. Maggiori info e aggiornamenti li trovate qui.
(Marco Campione è responsabile Istruzione e Formazione del Partito Democratico lombardo)